231, principi in tema di messa alla prova e nomina del difensore

Interessanti pronunce della S.C. di Cassazione in materia di responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/2001.

Anzitutto, in tema di messa alla prova, all’udienza del 27 ottobre 2022, le Sezioni Unite Penali hanno enunciato il seguente principio di diritto: “L’istituto dell’ammissione alla prova (art. 168-bis c.p.) non trova applicazione con riferimento agli enti di cui al d. lgs. n. 231 del 2001”.

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La pronuncia  risulta regolare in senso contrario alcune decisioni precedenti, già oggetto di commento con nostro post del 28.7.2022 (ad es. Tribunale di Bari del 22.6.2022).

La seconda pronuncia è la n. 35387/2022 della Sezione II penale che ha stabilito come la nomina del difensore dell’ente indagato/imputato ai sensi del d.lgs 231/2001 non possa essere rilasciata dal legale rappresentante dell’ente che pure sia indagato/imputato nel medesimo procedimento e ciò anche laddove sia stata rilasciata  in situazione di urgenza.

Afferma infatti la Corte che “è inammissibile, per difetto di legittimazione rilevabile di ufficio ai sensi dell’art. 591, comma primo, lett. a), cod. proc. pen., la richiesta di riesame di decreto di sequestro preventivo presentata dal difensore dell’ente nominato dal rappresentante che sia imputato o indagato per il reato da cui dipende l’illecito amministrativo (…) il divieto di rappresentanza stabilito dall’art. 39 d.lgs n. 231 del 2001 è funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo; d’altra parte, tale diritto risulterebbe del tutto compromesso se l’ente partecipasse al procedimento attraverso la rappresentanza di un soggetto portatore di interessi confliggenti da un punto di vista sostanziale e processuale”.

Continua la S.C. affermando che il sistema della responsabilità amministrativa degli enti è volto proprio a sollecitare le persone giuridiche all’adozione di modelli organizzativi al fine di prevenire i reati rispetto ai quali possa sorgere la loro responsabilità amministrativa, strutturando la propria organizzazione in modo da adeguare l’intervento nel caso in cui dalla propria attività possa conseguire un’indagine penale.

La Cassazione ritiene pertanto che un modello organizzativo adeguato deve considerare l’ipotesi – ovviamente da scongiurare in forza della predisposizione delle altre regole cautelari autoprodotte nel modello stesso – in cui il legale rappresentante sia ad essere indagato per un reato presupposto all’illecito amministrativo ascritto a carico dell’ente, e si trovi quindi in una situazione di conflitto con gli interessi dell’ente, in maniera  tale che l’ente possa provvedere a tutelare i propri diritti di difesa provvedendo alla nomina di un difensore da parte di un soggetto specificamente delegato a tale incombente per i casi di eventuale conflitto con le indagini penali a carico del rappresentante legale.

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231 e messa alla prova dell’Ente

map e 231Interessante ordinanza adottata dal Tribunale di Bari in data 22.6.2022 che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del d.lgs. 231/2001 ha ammesso una società all’istituto della messa alla prova.

Come noto la messa alla prova (MAP) originariamente prevista nel processo minorile è stata estesa anche agli imputati ordinari in forza dell’art. 168bis c.p. che prevede: “Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.

La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali.

La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore.

La sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta.

La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108”.

Trattasi di un istituto che consente, tramite l’esecuzione di lavori di pubblica utilità, di ottenere declaratoria di estinzione del reato.

Ora, il Tribunale di Bari, con innovativa ordinanza 22.6.2022 ha dichiarato la MAP applicabile non solo all’imputato persona fisica, ma anche all’ente coinvolto ex d.lgs 231/2001, poiché compatibile con detto sistema normativo, non comportando “alcuna violazione dei principi di tassatività e di riserva di legge, dal momento che il divieto di analogia opera soltanto quanto genera effetti sfavorevoli per l’imputato: la messa alla prova per l’ente determinerebbe, invece, un ampliamento del ventaglio di procedimento speciali a sua disposizione, consentendogli una miglior definizione della strategia processuale”.

Prosegue il Tribunale affermando tra l’altro che non osta nemmeno il fatto “che le previsioni specifiche per i procedimenti speciali nei confronti dell’ente non menzionino la messa alla prova: essa, infatti, può essere interpretata nel senso tanto della volontà del legislatore di disporre l’integrale applicazione della disciplina della messa alla prova, tanto più verosimilmente di una mera svista legislativa”.

Nemmeno sarebbe ostativa la previsione delle condotte riparatorie di cui all’art. 17 d.lgs 231/2001, poiché “la messa alla prova ha un oggetto ben più ampio, contemplando pure l’affidamento al servizio sociale per un programma che può comprendere attività di volontariato di rilievo sociale nonché la prestazione di pubblica utilità”.

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Guida in stato di ebbrezza: no alla confisca del veicolo se la messa alla prova ha esito positivo

La Corte Costituzionale con sentenza 75 del 7.4.2020 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 224-ter, comma 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui prevede che il prefetto verifica la sussistenza delle condizioni di legge per l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, anziché disporne la restituzione all’avente diritto, in caso di estinzione del reato di guida sotto l’influenza dell’alcool per esito positivo della messa alla prova.
Infatti, secondo la Consulta la possibilità che, pur in caso di estinzione del reato di guida in stato di ebbrezza per esito positivo della messa alla prova, il prefetto disponga, ricorrendone le condizioni, la confisca del veicolo (della cui disponibilità, peraltro, l’imputato è stato privato sin dal momento del sequestro) – laddove lo stesso codice della strada prevede, per il caso in cui il processo si sia concluso con l’emissione di una sentenza di condanna e con l’applicazione della pena sostitutiva, non solo l’estinzione del medesimo reato di guida in stato di ebbrezza, ma anche la revoca della confisca del veicolo per effetto del solo svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità – risulta manifestamente irragionevole, ove rapportata alla natura, alla finalità e alla disciplina dell’istituto della messa alla prova, come delineate anche dalla giurisprudenza costituzionale.
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