Persona sottoposta alle indagini e gara d’appalto: la delibera ANAC 397/2023

ANAC precisa che l’iscrizione nel registro degli indagati non è più causa di esclusione dalle gare d’appalto.

La mera iscrizione nel registro degli indagati non può, da sola, determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa per la persona alla quale il reato è attribuito.

Pertanto, la mera iscrizione al registro degli indagati non può più comportare l’esclusione dalle gare d’appalto.

Tale principio viene sottolineato da ANAC nella delibera n. 397 del 6 settembre 2023, chiarendo quanto stabilito dal nuovo Codice degli Appalti, operante dal 1° luglio 2023.

In particolare, rispondendo a una richiesta di parere di un Comune siciliano, riguardo i requisiti di ordine generale per l’affidamento di contratti pubblici con particolare riferimento all’illecito professionale grave, Anac fornisce indicazioni specifiche sulle cause di esclusione dalle gare d’appalto, sulla base di quanto disposto dal decreto legislativo 36/2023.

In particolare, Anac ha provveduto ad individuare le differenze tra la disciplina in tema di illecito professionale grave dettata dal Codice Appalti del 2016 e quella introdotta dal Codice Appalti oggi in vigore.

Tra gli aspetti di maggior rilievo del nuovo Codice la tipizzazione delle fattispecie costituenti grave illecito professionale (limitato, sotto il profilo penale ai reati di cui alle lettere g) ed h) del comma 3 dell’art. 98) e dei mezzi di prova utili per la valutazione della sussistenza dell’illecito stesso, superando in tal modo l’impostazione precedente che consentiva di valutare ogni condotta penalmente rilevante idonea ad incidere sulla affidabilità e sull’integrità della impresa concorrente.

È però appena il caso di rilevare come le lettere g) e h) del co. 3 dell’art. 98 indichino un numero rilevantissimo di reati, posto che – tra l’altro – la lettera h) prevede “la contestata o accertata commissione di reati (…) 5) previsti dal decreto legislativo 8.6.2001 n. 231”, ossia un elenco sterminato di fattispecie penalmente rilevanti.

Nell’ambito della tipizzazione introdotta perde, quindi, rilevanza la mera iscrizione nel registro degli indagati, per evidenti esigenze di coordinamento del Codice Appalti con la riforma recata 150/2022 che ha introdotto (tra l’altro) nel codice di procedura penale la nuova disposizione dell’art. 335-bis, che così recita: «La mera iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 non può, da sola, determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa per la persona alla quale il reato è attribuito».

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Offese in chat: diffamazione o ingiuria aggravata?

Come noto, l’art. 595 c.p. in tema di diffamazione prevede “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.

Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.

Che fattispecie integra l’offesa contenuta in una chat di un social network (ad es. Whatsapp) in cui sia compreso anche il soggetto offeso?

Il dilagante utilizzo delle moderne forme di comunicazione come la messaggistica istantanea ha reso i social network e le chat di gruppo uno dei contesti più esposti ai reati contro l’onore.

In un caso recentemente affrontato dalla Cassazione, l’imputato, condannato in entrambi i gradi di giudizio per il reato di diffamazione, ricorreva argomentando che fosse stata ritenuta erroneamente la diffamazione in luogo dell’ingiuria, configurabile in ragione del rapporto diretto che si era instaurato tra le parti all’interno del gruppo Whatsapp e che avrebbe consentito all’offeso di interloquire in via immediata con l’offensore, a scopo difensivo.

Invocava a sostegno della sua tesi una precedente pronuncia della S.C. che, affrontando il caso di una chat vocale sulla piattaforma Google Hangouts affermava “integra il delitto di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, e non il delitto di diffamazione la condotta di chi pronunzi espressioni offensive mediante comunicazioni telematiche dirette alla persona offesa attraverso una video chat, alla presenza di altre persone invitate nella chat, in quanto l’elemento distintivo tra i due delitti è costituito dal fatto che nell’ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all’offeso, mentre nella diffamazione l’offeso resta estraneo alla comunicazione intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore” (Cass. Pen., Sez. V Pen., n. 10905/2020).

Tuttavia, la Corte sottolineava come nell’ambito di una chat Whatsapp la lettura di un messaggio da parte del destinatario può non essere immediata. Così come è normale che in una chat di gruppo alcuni partecipanti leggano messaggi con molto anticipo rispetto ad altri.

Ciò può accadere per varie motivazioni: il telefono può essere spento, oppure potrebbe non connesso alla rete, ovvero ancora il destinatario potrebbe essere impegnato in altre occupazioni e non visualizzare i messaggi.

Ebbene, in difetto del requisito dell’immediatezza della lettura, la persona offesa è da considerarsi rimasta estranea alla comunicazione intercorsa con più persone non essendo in condizione di interloquire con l’offensore.

Per tali motivi, con sentenza n. 27540/2023, la S.C. di Cassazione, Sezione V Penale, ha affermato che “nel caso di invio di espressioni offensive a una chat di gruppo si configura l’ingiuria quando vi sia contestualità fra comunicazione dell’offesa e recepimento della stessa da parte dell’offeso: in difetto di contestualità, si configura la diffamazione”.

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