Clausole abusive: il tramonto del giudicato

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la Sentenza n.9479 del 6 aprile 2023 si sono pronunciate in ordine al fatto se un decreto ingiuntivo non opposto e quindi passato in giudicato, basato su clausole abusive ai danni di un consumatore sia ormai definitivamente incontestabile o se soccorrano mezzi di tutela a favore del consumatore.

La vicenda prende le mosse da una questione di normativa europea, oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale, in merito al superamento del giudicato implicito nel provvedimento monitorio e delle possibili soluzioni per adattare gli istituti dell’ordinamento interno secondo le indicazioni della Corte di Giustizia Europea.

La Corte Europea con quattro sentenze emesse il 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-600/19 e causa C-869/19), in applicazione della disciplina prevista dalla direttiva europea 93/13/CEE a tutela della categoria dei consumatori, ha ritenuto superabile la definitività del decreto ingiuntivo non opposto rispetto al diritto in esso accertato in presenza di clausole abusive ed ha disposto che tutti gli Stati Membri debbano assicurare le misure idonee al fine di garantire la piena tutela riconosciuta dalla direttiva in questione

Tale direttiva sancisce all’art. 6 che “Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché il consumatore non sia privato della protezione assicurata dalla presente direttiva a motivo della scelta della legislazione di un paese terzo come legislazione applicabile al contratto, laddove il contratto presenti un legame stretto con il territorio di uno Stato membro” e all’art. 7 che “Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori”.

La giurisprudenza europea, quindi, facendo leva sulla posizione di inferiorità del consumatore, sia dal punto di vista informativo che rispetto al potere negoziale, nei confronti del professionista ha dichiarato contraria ai principi europei la normativa interna che non consente al Giudice dell’Esecuzione di poter rilevare d’ufficio l’eventuale abusività delle clausole del contratto su cui si fonda il diritto di credito accertato nel provvedimento monitorio non opposto.

Questa pronuncia, come è agevole comprendere pone in discussione il principio del giudicato, posto che – secondo la normativa italiana, il decreto ingiuntivo fa stato tra le parti sia sul dedotto (il diritto di credito) sia sul deducibile (il contenuto del contratto).

Ebbene, le Sezioni Unite della Cassazione, con la Sentenza n. 9479 del 6 aprile 2023, hanno deciso che la clausola del contratto resta abusiva anche se il consumatore non si è opposto all’ingiunzione. Spetta quindi al giudice dell’esecuzione controllare se la clausola abbia natura vessatoria.

Nello specifico, le SS.UU. hanno affermato i seguenti principî:

Fase monitoria

Il giudice del monitorio:

a)     deve svolgere, d’ufficio, il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della controversia;

b)    a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell’art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d’ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d’ingiunzione:

b1)      potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore;

b2)      ove l’accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un’istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l’istanza d’ingiunzione;

c)        all’esito del controllo:

c.1)     se rileva l’abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all’accoglimento parziale del ricorso;

c.2)     se, invece, il controllo sull’abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell’art. 641 c.p.c., anche in relazione alla anzidetta effettuata delibazione;

c.3)     il decreto ingiuntivo conterrà l’avvertimento indicato dall’art. 641 c.p.c., nonché l’espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile.

Fase esecutiva

Il giudice dell’esecuzione:

a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;

b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;

c) dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo;

d) fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito;

(ulteriori evenienze)

e) se il debitore ha proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l’abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii);

f) se il debitore ha proposto un’opposizione esecutiva per far valere l’abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva – se del caso rilevando l’abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore.

Fase di cognizione

Il giudice dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.:

a) una volta investito dell’opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ex art. 649 c.p.c., l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l’accertamento sull’abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale;

b) procederà, quindi, secondo le forme di rito.

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Piano genitoriale, lo schema del CNF

L’art. 473bis 12 c.p.c. introdotto dalla Riforma Cartabia, all’ultimo comma, prevede che “Nei procedimenti relativi ai minori, al ricorso è allegato un piano genitoriale che indica gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente godute”.

Il Consiglio Nazionale Forense nella seduta amministrativa del 19 maggio u.s., ha approvato una proposta di schema di piano genitoriale elaborato dalla Commissione per il Diritto di famiglia.

Come indicato nella circolare del CNF (scarica qui) il documento si propone infatti di fornire una “fotografia” della situazione familiare esistente al momento del sopraggiungere della crisi, dando atto delle modalità utilizzate dai genitori per la gestione dei figli minori, nonché della situazione di questi ultimi rispetto alle principali criticità che emergono al momento della rottura del legame, conforme a parametri di chiarezza e sinteticità.

Si tratta di uno strumento da utilizzare in sede di redazione del progetto educativo dei figli, introdotto dalla Riforma Cartabia.

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Calunnia verso i colleghi: legittimo il licenziamento senza preavviso

Calunnia di Botticelli licenziamentoLa S.C. di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza 7225 del 13.3.2023 si è pronunciata in una fattispecie relativa a un dipendente di Polizia Locale nei confronti del quale era stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per sei giorni, in ragione della violazione dell’art. 3, co. 4 lett. b) e comma 5 lett. b), g) ed i) del CCNL Comparto Regioni ed Autonomie Locali, per avere lo stesso denigrato il Comandante del Corpo, attribuendogli un comportamento scorretto ed irrispettoso ed il Corpo stesso, esprimendo su di esso un giudizio negativo e tale da far desumere lo svolgimento al suo/interno di attività illecite, oltre che per avere gravemente diffamato un collega, attribuendogli comportamenti sessualmente molesti ed osceni ed avere tenuto un comportamento scorretto nei riguardi di altro superiore.

La S.C. ha sancito la legittimità del licenziamento senza preavviso adottato dalla pubblica amministrazione.

Sussistono secondo la Corte, in una condotta come quella sopra descritta, tutti gli elementi di fatto della fattispecie di cui all’articolo 55 quater lettera e) del decreto legislativo: risultano reiterate le condotte che ledono la dignità personale altrui, laddove la calunnia nei confronti del comandante e dei colleghi risulta accertata in sede penale con sentenza passata in giudicato.

Ad avviso della Suprema Corte si tratta di condotte gravi in quanto la denigrazione colpisce il Corpo di polizia, dunque l’istituzione di appartenenza.

Non assume rilievo la circostanza che la querela rivelatasi calunniosa, sia un atto esterno all’ambiente di lavoro: è invece sufficiente che l’atto illecito abbia conseguenze dirette all’interno della sfera anche se non risulta commesso nel luogo dove si svolge il servizio.

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La clausola “ex works” non espressamente accettata non deroga la giurisdizione

In tema di vendita internazionale a distanza di beni mobili, la controversia avente ad oggetto il pagamento della merce va devoluta, ai sensi dell’art. 4 del Reg. UE n. 1215 del 2012 (applicabile “ratione temporis”), alla giurisdizione dell’A.G. del luogo della consegna materiale dei beni, non ostando a tale conclusione l’inserimento, nel contratto medesimo, di una clausola “ex works”, se essa non sia accompagnata da una specifica pattuizione volta ad attribuire, con chiarezza, al luogo del passaggio del rischio valenza anche di luogo di consegna della merce.

E’ quanto statuito dalle Sezioni Unite Civili della S.C. di Cassazione con ordinanza 20633/2022 che hanno ritenuto non chiara ed univoca la volontà delle parti espressa in una clausola “ex work” finalizzata a disciplinare il passaggio dei rischi e dei costi del trasporto successivo in capo all’acquirente.

Secondo l’univoca giurisprudenza della Corte di Giustizia della UE (evocata anche in ricorso, con riferimento alla sentenza del 25 febbraio 2010, Car Trim, C-381/08 e alla sentenza 9 giugno 2011, Electrosteel Europe SA c. Edil Centro s.p.a., C-87/10), al fine di verificare se il luogo di consegna sia determinato “in base al contratto”, il giudice nazionale adito deve tenere conto di tutti i termini e di tutte le clausole rilevanti del contratto stesso che siano idonei ad identificare con certezza tale luogo, ivi compresi i termini e le clausole generalmente riconosciuti e sanciti dagli usi del commercio internazionale.

E’ quindi necessario verificare se possa essere rinvenibile, dal contenuto complessivo del contratto commerciale intercorso tra le parti, una pattuizione idonea all’univoca individuazione del luogo di consegna, altrimenti operando – in difetto, per l’appunto, di una diversa convenzione – il criterio attributivo della giurisdizione – di cui all’art. 7, punto 1, lett. b), del Reg. UE n. 1215/2012 – in capo al giudice del luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio, conformemente alla previsione del foro generale del convenuto individuata nell’art. 4 dello stesso Regolamento UE.

L’univoco orientamento della giurisprudenza delle Sezioni Unite (v. ord. SU n. 24279/2014; ord. SU n. 32362/2018; sent. SU n. 17566/2019 e, da ultimo, sent. SU n. 15891/2022) aveva ritenuto che il riferimento alla dicitura (c.d. “incoterm”) “ex works” unilateralmente inserita nelle fatture (come è noto costituenti documenti di formazione e provenienza unilaterali) emesse per il pagamento di una fornitura commerciale non può valere, di per sé, come derogativa del criterio di attribuzione giurisdizionale generale, in mancanza di un’espressa e chiara accettazione della clausola e, quindi, della formazione di un univoco accordo contrattuale sul punto, che deve risultare desumibile inequivocamente.

Del resto, l’inserimento della citata clausola “ex work è, invero, finalizzato, di regola, a disciplinare l’aspetto del passaggio dei rischi e dei costi del trasporto successivo in capo all’acquirente ma non ad incidere sulla determinazione dell’attribuzione della giurisdizione.

Se dunque difetti la prova univoca dell’esistenza di un accordo tra le parti circa il luogo di consegna della merce, deve trovare applicazione il criterio generale che individua tale luogo in quello in cui l’acquirente avrebbe conseguito “il potere di disporre effettivamente dei beni alla destinazione finale dell’operazione di vendita” e, quindi, nel luogo di consegna.

Oltretutto, affermano le SS.UU., il criterio del luogo della consegna materiale della merce oggetto del contratto rappresenta il criterio da preferire perché presenta un alto grado di prevedibilità e risponde ad un obiettivo di prossimità, in quanto garantisce l’esistenza di una stretta correlazione tra il contratto e il giudice chiamato a conoscerne, e ciò in quanto, in linea di principio, i beni che costituiscono l’oggetto del contratto devono trovarsi in tale luogo dopo l’esecuzione di tale contratto (a questo inquadramento è, del resto, ispirato anche il paragrafo 15 delle premesse del citato Reg. UE n. 1215/2012); né va trascurato il rilievo per cui l’obiettivo fondamentale di un contratto di compravendita di beni è il trasferimento degli stessi dal venditore all’acquirente, operazione che si conclude soltanto quando detti beni giungono alla loro destinazione finale (così la citata sent. della Corte Giust. 25 febbraio 2010, in causa C-381/08), non potendosi in senso contrario ricorrere all’applicazione, come criterio generale ai fini della individuazione del giudice munito di giurisdizione, del criterio di diritto sostanziale che determina il trasferimento del rischio e\o la liberazione del venditore con la consegna dei beni compravenduti al vettore incaricato, in quanto lo stesso non garantisce in pari modo le esigenze di semplificazione, uniformità e prevedibilità delle decisioni.

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27 luglio 2022, stop al telemarketing: il Registro delle Opposizioni

registro delle opposizioniNegli ultimi anni è cresciuto a dismisura il fenomeno delle telefonate da parte degli operatori di telemarketing.

Spesso voci registrate, ma anche operatori di svariati settori commerciali (energie e telefonia soprattutto).

Il blocco dei numeri non sempre porta risultati concreti sia per la modifica continua dei numeri chiamanti, sia per la ricezione di chiamate da numeri sconosciuti.

Già dal 2010 esiste uno servizio volto ad arginare questi fenomeni: il Registro Pubblico delle Opposizioni o RPO, istituito con DPR 178/2010, col fine di offrire agli utenti la possibilità di opporsi all’utilizzo del proprio numero per fini di marketing.

Con l’art. 1 comma 54 della Legge 124/2017 regolamentata dal DPR n. 149/2018, il Registro è stato inoltre esteso anche alle comunicazioni cartacee.

In sostanza il Registro costituisce una lista di numeri verso i quali gli operatori commerciali non possono effettuare chiamate per finalità commerciali.

Se un numero è registrato nel Registro, un’azienda, o un call center, non potrà usarlo per proporre prodotti o promozioni o servizi.

Qualora lo utilizzasse, commetterebbe una violazione del diritto di opposizione ex art. 21 del Regolamento UE 2016/679 (GDPR), con la conseguente applicazione delle sanzioni di cui all’art. 83 della medesima normativa.

La legge 5/2018, prendendo atto che ormai le telefonate insistenti si sono spostate prevalentemente sui telefoni cellulari, estende l’applicazione del Registro pubblico delle opposizioni a tutti i numeri privati, compresi quelli mobili.

Può essere iscritto al Registro qualsiasi numero, anche se non presente in un elenco pubblico.

Il regolamento attuativo (DPR 26/2022 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 74 del 29 marzo 2022), ha stabilito l’entrata in vigore della nuova normativa nei 120 giorni dalla sua pubblicazione, e dunque al 27 luglio 2022.

Oltre alla possibilità di iscrivere gratuitamente nel registro tutti i numeri di cellulare, le nuove disposizioni prevedono anche l’inclusione in automatico di tutti i numeri fissi che non risultano iscritti nell’elenco telefonico pubblico. L’iscrizione nel registro cancella automaticamente tutti i consensi dati in precedenza, e a partire da quindici giorni dall’iscrizione al registro, le telefonate a fini commerciali a quell’utenza sono considerate illegali.

Il sito del RPO indica tutte le modalità di iscrizione (via web, via mail, via telefono, via fax o tramite lettera raccomandata), in ogni caso sempre gratuita.

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