Violazioni in tema di sicurezza sul lavoro e 231

Come noto, per poter addebitare a un Ente una violazione ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 231/2001 è necessario che i reati siano commessi “nel suo interesse o a suo vantaggio”.

Tali criteri d’imputazione oggettiva della responsabilità dell’ente sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il primo esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo; il secondo ha, invece, una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito (Sez. Unite, n. 38343 del 2014, Espenhahn, Rv. 261113).

Molto spesso, per alcuni tipi di reato (ad. es. i reati colposi e in particolar modo le lesioni personali colpose e l’omicidio colposo conseguenti a violazioni in tema di sicurezza sul lavoro) è poco comprensibile, per i non addetti ai lavori, che un’azienda sia avvantaggiata da eventi di questo genere.

La giurisprudenza ha elaborato un criterio di compatibilità, affermando in via interpretativa che i criteri di imputazione oggettiva (interesse e vantaggio) vanno riferiti alla condotta del soggetto agente e non all’evento, coerentemente alla diversa conformazione dell’illecito, essendo possibile che l’agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l’evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per rispondere a istanze funzionali a strategie dell’ente. A maggior ragione, vi è perfetta compatibilità tra inosservanza della prescrizione cautelare e esito vantaggioso per l’ente (in motivazione, Sez. Unite n. 38343 del 2014, cit.).

Si salvaguarda in tal modo il principio di colpevolezza, con la previsione della sanzione del soggetto meta-individuale che si è giovato della violazione.

Parimenti, la Suprema Corte ha svariate volte avuto occasione di calibrare in concreto i concetti di interesse e vantaggio in questo tipo di reati, affermando che essi possono essere ravvisati:

  • nel risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dei procedimenti e dei presidi di sicurezza;
  • nell’incremento economico conseguente all’incremento della produttività non ostacolata dal rispetto della normativa prevenzionale (sez. 4 n. 31210 del 2016, Merlino; n. 43656 del 2019, Compagnia Progetti e Costruzioni);
  • nel risparmio sui costi di consulenza, sugli interventi strumentali, sulle attività di formazione e informazione del personale (in motivazione, sez. 4 n. 18073 del 2015, Bartoloni);
  • o, ancora, nella velocizzazione degli interventi di manutenzione e di risparmio sul materiale.

Esso, quindi, va inteso non solo come risparmio di spesa conseguente alla mancata predisposizione del presidio di sicurezza, ma anche come incremento economico dovuto all’aumento della produttività non rallentata dal rispetto della norma cautelare (sez. 4 n. 31003 del 23/6/2015, Cioffi e n. 53285 del 10/10/2017, Pietrelli, in motivazione). In altri termini vanno individuati precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione dell’uno (persona fisica) all’interesse dell’altro.

E anche una sola violazione in tema di sicurezza può essere sufficiente a far applicare la responsabilità ex d.lgs 231/2001, poiché, afferma la Cassazione Penale, Sez. 4, con sentenza 04 luglio 2024, n. 26293la sistematicità della violazione non rileva quale elemento della fattispecie tipica dell’illecito dell’ente l’art. 25-septies cit. non richiede la natura sistematica delle violazioni alla normativa antinfortunistica per la configurabilità della responsabilità dell’ente derivante dai reati colposi ivi contemplati (sez. 4, n. 29584 del 22/9/2020, F.Ili Cambria Spa, Rv. 279660-01; n. 12149 del 24/3/2021, Rodenghi, Rv. 280777-01)”.

Ricorda la S.C. che l’interesse dell’ente ricorre quando la persona fisica, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente agito allo scopo di far conseguire un’utilità alla persona giuridica; ciò accade, per esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti essere l’esito, non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d’impresa pur non volendo (quale opzione dolosa) il verificarsi dell’infortunio in danno del lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell’ente (ad esempio, far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di prevenzione)” (in motivazione, sez. 4 n. 31210 del 19/5/2016, Merlino).

Ne deriva, quindi, che l’interesse dell’Ente può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata, allorché altre evidenze fattuali dimostrino tale collegamento finalistico, così neutralizzando il valore probatorio astrattamente riconoscibile al connotato della sistematicità (in motivazione, sez. 4, n.29584/2020 cit.).

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Whistleblowing, pubblicato il d.lgs. 24 del 16.3.2023

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il d.lgs. n. 24 del 10 marzo 2023 che entrerà in vigore il 15 luglio 2023 (è prevista una proroga al 17 dicembre 2023 per i datori di lavoro privati che nell’ultimo anno abbiamo impiegato una media di 249 lavoratori subordinati, a tempo determinato o indeterminato).

La normativa è applicabile a tutti i soggetti, pubblici e privati, indipendentemente dall’adozione di un modello organizzativo ex d.lgs 231/2001 per la prevenzione di reati in azienda.

I canali di segnalazione possono essere tre, interno, esterno e pubblico, ma negli enti privati con meno di cinquanta dipendenti è prevista la sola possibilità della segnalazione interna. Dunque, dovranno obbligatoriamente attivare il canale di segnalazione interno i soggetti privati che:

  • abbiano impiegato in media nell’ultimo anno almeno 50 lavoratori subordinati con contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato;
  • rientrino nell’ambito di applicazione delle norme in materia di servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio o del finanziamento del terrorismo, sicurezza dei trasporti e tutela dell’ambiente, anche se nell’ultimo anno non hanno raggiunto la media di 50 lavoratori subordinati;
  • abbiano adottato modelli di organizzazione e gestione ex D.lgs. 231/2001, anche se nell’ultimo anno non hanno raggiunto la media di 50 lavoratori subordinati.

Le segnalazioni potranno essere effettuate con quattro modalità:

  • In forma scritta;
  • In forma orale, con un incontro di persona con personale addetto;
  • Tramite linee telefoniche o altri sistemi di messaggistica vocale registrati o non registrati (in questo ultimo caso le conversazioni dovranno essere trascritte e firmate);
  • Attraverso la piattaforma informatica messa a disposizione da Anac (Autorità Nazionale Anti Corruzione) per la segnalazione esterna;

Tutti coloro che effettuano segnalazioni di violazioni del diritto dell’Unione da parte dell’ente di appartenenza, nell’ambito della propria attività, che siano dipendenti o collaboratori, lavoratori autonomi o subordinati, liberi professionisti, volontari, tirocinanti (anche non retribuiti), gli azionisti, gli amministratori, direttori e coloro che operano con funzioni di vigilanza, controllo e rappresentanza, hanno diritto alle tutele previste dal decreto.

Ai sensi dell’art. 17 del decreto, infatti, nessuno può subire, per il fatto di aver segnalato un illecito, ritorsioni di alcun tipo, tra cui:

  • licenziamento, sospensione;
  • retrocessione di grado o mancata promozione;
  • mutamento di funzioni, cambiamento del luogo di lavoro, riduzione dello stipendio, modifica dell’orario di lavoro;
  • sospensione della formazione;
  • note di merito negative;
  • adozione di misure disciplinari o di altra sanzione anche pecuniaria;
  • coercizione, intimidazione, molestie o ostracismo;
  • discriminazione o comunque trattamento sfavorevole;
  • mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, laddove il lavoratore avesse una legittima aspettativa a detta conversione;
  • mancato rinnovo o risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a termine;
  • danni, anche alla reputazione della persona, in particolare sui social media, o pregiudizi economici o finanziari, comprese la perdita di opportunità economiche e la perdita di redditi;
  • annullamento di una licenza o di un permesso;
  • richiesta di sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.

La protezione dei whistleblowers prevede tra l’altro il divieto di rivelarne l’identità senza il suo consenso a persone diverse da quelle competenti a ricevere o a dare seguito alle segnalazioni ed anche nell’ambito di procedimenti disciplinari a carico del segnalato.

Se il segnalatore subisce una ritorsione o in altri casi di violazione della normativa, l’Anac potrà applicare sanzioni amministrative pecuniarie da 10.000,00 a 50.000,00 euro; si applicherà la sanzione anche nei casi in cui venga accertato che una segnalazione è stata ostacolata o che si è tentato di ostacolarla o che è stato violato l’obbligo di riservatezza, oppure se l’Autorità accerti che non sono stati istituiti canali di segnalazione e che non sono state adottate procedure per l’effettuazione e la gestione delle segnalazioni. Infine, qualora si accerti la responsabilità del segnalante per i reati di diffamazione e calunnia, è prevista la sanzione da 500,00 a 2.500,00 euro.

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231, principi in tema di messa alla prova e nomina del difensore

Interessanti pronunce della S.C. di Cassazione in materia di responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/2001.

Anzitutto, in tema di messa alla prova, all’udienza del 27 ottobre 2022, le Sezioni Unite Penali hanno enunciato il seguente principio di diritto: “L’istituto dell’ammissione alla prova (art. 168-bis c.p.) non trova applicazione con riferimento agli enti di cui al d. lgs. n. 231 del 2001”.

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La pronuncia  risulta regolare in senso contrario alcune decisioni precedenti, già oggetto di commento con nostro post del 28.7.2022 (ad es. Tribunale di Bari del 22.6.2022).

La seconda pronuncia è la n. 35387/2022 della Sezione II penale che ha stabilito come la nomina del difensore dell’ente indagato/imputato ai sensi del d.lgs 231/2001 non possa essere rilasciata dal legale rappresentante dell’ente che pure sia indagato/imputato nel medesimo procedimento e ciò anche laddove sia stata rilasciata  in situazione di urgenza.

Afferma infatti la Corte che “è inammissibile, per difetto di legittimazione rilevabile di ufficio ai sensi dell’art. 591, comma primo, lett. a), cod. proc. pen., la richiesta di riesame di decreto di sequestro preventivo presentata dal difensore dell’ente nominato dal rappresentante che sia imputato o indagato per il reato da cui dipende l’illecito amministrativo (…) il divieto di rappresentanza stabilito dall’art. 39 d.lgs n. 231 del 2001 è funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo; d’altra parte, tale diritto risulterebbe del tutto compromesso se l’ente partecipasse al procedimento attraverso la rappresentanza di un soggetto portatore di interessi confliggenti da un punto di vista sostanziale e processuale”.

Continua la S.C. affermando che il sistema della responsabilità amministrativa degli enti è volto proprio a sollecitare le persone giuridiche all’adozione di modelli organizzativi al fine di prevenire i reati rispetto ai quali possa sorgere la loro responsabilità amministrativa, strutturando la propria organizzazione in modo da adeguare l’intervento nel caso in cui dalla propria attività possa conseguire un’indagine penale.

La Cassazione ritiene pertanto che un modello organizzativo adeguato deve considerare l’ipotesi – ovviamente da scongiurare in forza della predisposizione delle altre regole cautelari autoprodotte nel modello stesso – in cui il legale rappresentante sia ad essere indagato per un reato presupposto all’illecito amministrativo ascritto a carico dell’ente, e si trovi quindi in una situazione di conflitto con gli interessi dell’ente, in maniera  tale che l’ente possa provvedere a tutelare i propri diritti di difesa provvedendo alla nomina di un difensore da parte di un soggetto specificamente delegato a tale incombente per i casi di eventuale conflitto con le indagini penali a carico del rappresentante legale.

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231 e messa alla prova dell’Ente

map e 231Interessante ordinanza adottata dal Tribunale di Bari in data 22.6.2022 che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del d.lgs. 231/2001 ha ammesso una società all’istituto della messa alla prova.

Come noto la messa alla prova (MAP) originariamente prevista nel processo minorile è stata estesa anche agli imputati ordinari in forza dell’art. 168bis c.p. che prevede: “Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.

La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali.

La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore.

La sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta.

La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108”.

Trattasi di un istituto che consente, tramite l’esecuzione di lavori di pubblica utilità, di ottenere declaratoria di estinzione del reato.

Ora, il Tribunale di Bari, con innovativa ordinanza 22.6.2022 ha dichiarato la MAP applicabile non solo all’imputato persona fisica, ma anche all’ente coinvolto ex d.lgs 231/2001, poiché compatibile con detto sistema normativo, non comportando “alcuna violazione dei principi di tassatività e di riserva di legge, dal momento che il divieto di analogia opera soltanto quanto genera effetti sfavorevoli per l’imputato: la messa alla prova per l’ente determinerebbe, invece, un ampliamento del ventaglio di procedimento speciali a sua disposizione, consentendogli una miglior definizione della strategia processuale”.

Prosegue il Tribunale affermando tra l’altro che non osta nemmeno il fatto “che le previsioni specifiche per i procedimenti speciali nei confronti dell’ente non menzionino la messa alla prova: essa, infatti, può essere interpretata nel senso tanto della volontà del legislatore di disporre l’integrale applicazione della disciplina della messa alla prova, tanto più verosimilmente di una mera svista legislativa”.

Nemmeno sarebbe ostativa la previsione delle condotte riparatorie di cui all’art. 17 d.lgs 231/2001, poiché “la messa alla prova ha un oggetto ben più ampio, contemplando pure l’affidamento al servizio sociale per un programma che può comprendere attività di volontariato di rilievo sociale nonché la prestazione di pubblica utilità”.

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La cancellazione della società non determina l’estinzione dell’illecito 231

cancellazione società 231La S.C. di Cassazione con sentenza 9006/2022 ha dichiarato che “la cancellazione della società può certamente porre un problema di soddisfacimento del relativo credito ma non pone un problema di accertamento della responsabilità dell’ente per fatti anteriori alla sua cancellazione, responsabilità che nessuna norma autorizza a ritenere destinata a scomparire per effetto della cancellazione dell’ente stesso. Occorre, dunque, ad avviso del Collegio, affermare, il seguente principio di diritto: «la cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) la violazione dell’art. 25-septies, comma 3, del d. Igs. 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen., che si assume commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato»”.

Nel motivare tale decisione, “in consapevole contrasto” con altri precedenti di legittimità, la S.C. ha affermato che l’estinzione della persona giuridica, nelle società di capitali, comporta che la titolarità dell’impresa passi direttamente ai singoli soci, non avendo luogo una divisione in senso tecnico, come si ricava dagli artt. 2493 e 2495, comma 3, cod. civ., disciplinanti, rispettivamente, la distribuzione ai soci dell’attivo e l’azione esperibile da parte dei creditori nei confronti dei soci.

E ancora la Cassazione ha ricordato che il silenzio serbato dal legislatore circa le vicende estintive dell’ente non può indurre ad accontentarsi di un accostamento che appare essere solo suggestivo con l’estinzione della persona fisica. Ciò – tra l’altro – perché: a) in linea generale, le cause estintive dei reati sono notoriamente un numerus clausus, non estensibile; b) quando il legislatore della responsabilità delle persone giuridiche ha inteso far riferimento a cause estintive degli illeciti, lo ha fatto espressamente; c) essendo pacifico il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland Spa ed altro, Rv. 263682), secondo cui «In tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d. Igs. n. 231 del 2001», non si comprende la ratio di un diverso trattamento della cancellazione della società, da cui discenderebbe l’estinzione dell’illecito amministrativo contestato all’ente, rispetto al caso di dichiarazione di fallimento, allorché è expressis verbis prevista la esclusione dell’effetto estintivo.

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