Responsabilità penale del consigliere senza deleghe

consigliere senza delegheIn assenza di deleghe ad alcuno dei componenti del consiglio di amministrazione di una società o di un consorzio, deve ritenersi gravante su tutti i consiglieri, la responsabilità solidale per gli illeciti deliberati o posti essere dal consiglio di amministrazione, da riferirsi solidalmente a ciascuno di essi.

Tali principi sono applicabili per i membri del consiglio di amministrazione di una società di capitali in assenza di deleghe su specifiche materie o attribuzioni concernenti la gestione della società.

E’ quanto affermato dalla sentenza della S.C. di Cassazione, sezione III penale, n. 11087 del 28.3.2022.

Ricorda infatti sul punto il Supremo Collegio che l’art. 2392 cod. civ., norma che regola la posizione di garanzia degli amministratori all’interno delle S.p.A., dispone che questi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie o del comitato esecutivo o attribuite in concreto ad uno o più di essi, così come ribadisce specificamente per il consiglio di amministrazione l’art. 2381, secondo comma, cod. civ.

Dovendosi perciò distinguere l’ipotesi in cui il consiglio di amministrazione operi con o senza deleghe, deriva dal suddetto assetto normativo che, a meno che l’atto non rientri nelle attribuzioni delegate al comitato esecutivo o taluno dei consiglieri che ne sono parte, tutti i componenti del consiglio di amministrazione rispondano — salvo il meccanismo di esonero contemplato dal terzo comma dell’art. 2392 cod. civ. che prevede l’esternazione e l’annotazione dell’opinione in contrasto da parte del consigliere dissenziente nonché immune da colpa- degli illeciti deliberati dal consiglio anche se in fatto non decisi o compiuti da tutti i suoi componenti.

Diversa è invece l’ipotesi in cui specifiche materie siano state attribuite ad uno o più amministratori, nel qual caso gli illeciti compiuti investono esclusivamente la responsabilità dei consiglieri ad esse delegati, salva in tal caso la responsabilità solidale dei consiglieri non operativi, ovverosia esenti da delega, in conseguenza non già della posizione di garanzia sancita dall’art. 2392, primo comma, cod. civ., bensì per effetto della violazione dolosa o colposa del dovere di informazione che grava, anche a seguito della riforma legislativa attuata con il d.lgs. 6/2003, sui singoli amministratori in ordine all’andamento della gestione sociale e sulle operazioni più significative che pone su costoro, in presenza di segnali di allarme, l’onere di attivarsi per assumere ulteriori informazioni rispetto a quelle fornitegli dagli organi delegati e di fare quanto nelle loro possibilità per impedire il compimento dell’atto pregiudizievole o eliderne le conseguenze dannose.

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La cancellazione della società non determina l’estinzione dell’illecito 231

cancellazione società 231La S.C. di Cassazione con sentenza 9006/2022 ha dichiarato che “la cancellazione della società può certamente porre un problema di soddisfacimento del relativo credito ma non pone un problema di accertamento della responsabilità dell’ente per fatti anteriori alla sua cancellazione, responsabilità che nessuna norma autorizza a ritenere destinata a scomparire per effetto della cancellazione dell’ente stesso. Occorre, dunque, ad avviso del Collegio, affermare, il seguente principio di diritto: «la cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) la violazione dell’art. 25-septies, comma 3, del d. Igs. 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen., che si assume commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato»”.

Nel motivare tale decisione, “in consapevole contrasto” con altri precedenti di legittimità, la S.C. ha affermato che l’estinzione della persona giuridica, nelle società di capitali, comporta che la titolarità dell’impresa passi direttamente ai singoli soci, non avendo luogo una divisione in senso tecnico, come si ricava dagli artt. 2493 e 2495, comma 3, cod. civ., disciplinanti, rispettivamente, la distribuzione ai soci dell’attivo e l’azione esperibile da parte dei creditori nei confronti dei soci.

E ancora la Cassazione ha ricordato che il silenzio serbato dal legislatore circa le vicende estintive dell’ente non può indurre ad accontentarsi di un accostamento che appare essere solo suggestivo con l’estinzione della persona fisica. Ciò – tra l’altro – perché: a) in linea generale, le cause estintive dei reati sono notoriamente un numerus clausus, non estensibile; b) quando il legislatore della responsabilità delle persone giuridiche ha inteso far riferimento a cause estintive degli illeciti, lo ha fatto espressamente; c) essendo pacifico il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014, dep. 2015, Uniland Spa ed altro, Rv. 263682), secondo cui «In tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d. Igs. n. 231 del 2001», non si comprende la ratio di un diverso trattamento della cancellazione della società, da cui discenderebbe l’estinzione dell’illecito amministrativo contestato all’ente, rispetto al caso di dichiarazione di fallimento, allorché è expressis verbis prevista la esclusione dell’effetto estintivo.

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Fatture false e diritto al silenzio

fatture false diritto silenzioLa S.C. di Cassazione con sentenza n. 6786 del 1.3.2022 ha recentemente trattato una vicenda relativa alla fatturazione di operazioni soggettivamente inesistenti, in relazione alla quale in sede di accesso ispettivo dell’agenzia fiscale presso la sede della società contribuente, il legale rappresentante della medesima, ha sostanzialmente ammesso di essere consapevole che la società era una c.d. cartiera, dichiarando che la sua interposizione serviva «solo per la fatturazione».

Lamentava la ricorrente che, a detto legale rappresentante, prima di rendere le proprie dichiarazioni, non fosse stato dato avviso del suo diritto di rifiutarsi di rispondere alle domande postegli, trattandosi di una facoltà e non di un obbligo, e che perciò aveva diritto al silenzio.

La Cassazione, con la sentenza citata ha però dichiarato che il diritto al silenzio (con il relativo carico sanzionatorio), espressione della garanzia del giusto processo, si applica anche ai procedimenti tributari qualora in essi siano applicati sanzioni punitive, ma solo quando destinatario del trattamento sanzionatorio è lo stesso titolare del diritto al silenzio e non altro soggetto di diritto.

Non si applica quindi la relativa garanzia nei confronti del legale rappresentante della società che abbia ammesso che la cedente era una cartiera in quanto le sanzioni tributarie sono esclusivamente a carico della società.

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No alla turbata libertà di scelta per affidamenti diretti e trattative private

Cassazione 353bis c.p. turbata libertà garaImportante sentenza della S.C. di Cassazione, n. 5536/2022 depositata il 16.2.2022, che dichiara come, per la configurabilità del reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente ex art. 353-bis c.p., sia necessaria una gara, seppur informale.

Afferma in particolare la Cassazione che la norma incriminatrice richiede sul piano della tipicità un’azione finalizzata ad inquinare il contenuto di un atto che detta i requisiti e le modalità di partecipazione alla competizione, nonché ogni altra informazione necessaria a tale scopo.

La condotta perturbatrice deve quindi riguardare un procedimento amministrativo funzionale ad una “gara”, nel senso in precedenza indicato, e deve volgere sul piano finalistico ad inquinare il contenuto di un atto funzionalmente tipico, cioè di un atto esplicativo del modo con cui si devono selezionare i concorrenti per individuarne il migliore; un atto che pone le regole, le modalità di accesso, i criteri di selezione, che disciplini il modo con cui compiere una comparazione valutativa tra più soggetti.

Ne consegue che: in caso di affidamento diretto, il delitto previsto dall’art 353-bis c.p.:

  1. è configurabile quando la trattativa privata, al di là del nomen juris, prevede, nell’ambito del procedimento amministrativo di scelta del contraente, una “gara”, sia pure informale, cioè un segmento valutativo concorrenziale;
  2. non è configurabile nelle ipotesi di contratti conclusi dalla pubblica amministrazione a mezzo di trattativa privata in cui il procedimento è svincolato da ogni schema concorsuale;
  3. non è configurabile quando la decisione di procedere all’affidamento diretto è essa stessa il risultato di condotte perturbatrici volte ad evitare la gara.

In sostanza, l’art. 353bis c.p. non può punire chi abbia partecipato ad un affidamento diretto senza gara o ad una trattativa privata.

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Diffusione di video hard di un minore con il suo consenso

revenge porn - consenso minoreL’art. 600-ter stabilisce: “Pornografia minorile – È punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 a euro 240.000 chiunque:

  • utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico;
  • recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto.

Alla stessa pena soggiace chi fa commercio del materiale pornografico di cui al primo comma.

Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al primo e al secondo comma, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga, diffonde o pubblicizza il materiale pornografico di cui al primo comma, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645.

Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi primo, secondo e terzo, offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al primo comma, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.549 a euro 5.164.

Nei casi previsti dal terzo e dal quarto comma la pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale sia di ingente quantità.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque assiste a esibizioni o spettacoli pornografici in cui siano coinvolti minori di anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 1.500 a euro 6.000.

Ai fini di cui al presente articolo per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”.

L’art. 600-quater c.p. afferma: “detenzione di materiale pornografico – Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nell’articolo 600ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto è punito con la reclusione fino a tre anni o con la multa non inferiore a euro 1.549.

La pena è aumentata in misura non eccedente i due terzi ove il materiale detenuto sia di ingente quantità”.

L’art. 612-ter del codice penale stabilisce infine “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000.

La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.

La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procede tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio”.

Si tratta della fattispecie meglio conosciuta come revenge porn.

In relazione alle fattispecie sopra descritte, recentemente le Sezioni Unite della S.C. Corte di Cassazione hanno affrontato il tema se costituisca reato la diffusione di un video hard ritraente un minore, con il consenso di quest’ultimo affermando, con sentenza 4616/2022 depositata il 9.2.2022, il seguente principio di diritto: la diffusione verso terzi del materiale pornografico realizzato con un minore degli anni diciotto integra il reato di cui all’art. 600ter, terzo e quarto comma, cod. pen. ed il minore non può prestare consenso ad essa.

Alla luce di quanto sopra è quindi possibile affermare che:

  1. trattasi di reato di revenge porn qualora venga diffuso un video erotico ritraente persona maggiorenne senza il consenso di quest’ultima;
  2. trattasi invece del reato di pornografia minorile, qualora venga diffuso un video erotico cui partecipi un minorenne e ciò anche laddove questi presti il consenso ovvero chieda lui stesso la condivisione.

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