No all’abuso d’ufficio se si esercita un potere discrezionale

abuso d'ufficioCome noto, il reato di abuso d’ufficio è stato riformato dall’art. 23 del Decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (v. la nostra newsletter del 20.7.2020).

Il nuovo testo dell’art. 323 c.p. recita “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità”.

La riforma è stata introdotta con l’intento di tranquillizzare funzionari e amministratori pubblici, chiamati a “darsi da fare” per facilitare la ripresa del paese, finalità perseguita con una asserita maggiore specificità della fattispecie.

Con sentenza 8/2022 del 18.1.2022 la Corte Costituzionale era stata chiamata a pronunciarsi su detto articolo, negando che tale norma abbia depotenziato eccessivamente la tutela del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione (articoli 3 e 97 della Costituzione). Scarica qui sentenza e comunicato della Consulta.

Ora, mutando il proprio orientamento abbastanza sedimentato, anche la S.C. di Cassazione, Sezione VI penale, con sentenza 13136/2022 afferma che “Fermi restando l’immutato riferimento all’elemento psicologico del dolo intenzionale e l’immodificato richiamo alla fattispecie dell’abuso di ufficio per violazione, da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, dell’obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti (ipotesi di reato che non è variata nei suoi elementi costitutivi), il delitto di abuso di ufficio per violazione di legge, inconseguenza delle indicate modifiche introdotte nell’art. 323 cod. pen., è ora configurabile solamente nei casi in cui la violazione da parte dell’agente pubblico abbia avuto ad oggetto “specifiche regole di condotta” e non anche regole di carattere generale; solo se tali specifiche regole sono dettate “da norme di legge o da atti aventi forza di legge”, dunque non anche quelle fissate da meri regolamenti ovvero da altri atti normativi di fonte subprimaria; e, in ogni caso, a condizione che le regole siano formulate in termini da non lasciare alcun margine di discrezionalità all’agente, restando perciò esclusa l’applicabilità della norma incriminatrice laddove quelle regole di condotta rispondano in concreto, anche in misura marginale, all’esercizio di un potere discrezionale (in questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 8057 del 28/01/2021, Asole, Rv. 280965; Sez. 6, n. 442 del 09/12/2020, dep. 2021, Garau, Rv. 280296)”.

Di fatto viene affermato che non costituisce più reato il comportamento caratterizzato da esercizio di un potere di discrezionalità.

Scarica qui la sentenza integrale.

Riforma dell’abuso d’ufficio

abuso d'ufficioL’art. 23 del Decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), c.d. “decreto semplificazioni“, pubblicato in G.U. n. 178 del 16.7.2020, tra le altre previsioni, modifica l’art. 323 c.p. (abuso d’ufficio).
La norma previgente disponeva “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità”.
L’art 23 citato sostituisce le parole “di norme di legge o di regolamento” con la locuzione “di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.
Il nuovo testo recita quindi “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità”.
Si tratta della quarta riformulazione della norma dal 1930 nel tentativo di perseguire maggiore tassatività e determinatezza della fattispecie di reato.
Come è noto, infatti, l’art. 323 c.p. ha da sempre costituito una sorta di chiusura del sistema per punire condotte che non ricadano in altre fattispecie penali.
Secondo la relazione del Presidente del Consiglio l’obiettivo sarebbe quello di tranquillizzare funzionari e amministratori pubblici, chiamati a “darsi da fare” per facilitare la ripresa del paese (“stop alla paura della firma: i funzionari pubblici devono poter sbloccare lavori e spese (es. riforma abuso ufficio)”).
La maggiore specificità della fattispecie dovrebbe derivare:
a) dall’esclusione dei regolamenti tra le norme violate, rilevando unicamente “regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge”;
b) dal fatto che le regole di condotta siano “specifiche” ed “espressamente previste” dalle norme violate;
c) dalla previsione per cui da tali regole di condotta “non residuino margini di discrezionalità”.