In tema di inquinamento luminoso, la Sezione III Penale della S.C. di Cassazione, con sentenza 9353/2020 ha affermato che anche la proiezione verso l’alto, in plurime direzioni, di fasci di luce bianchi e colorati, in quanto idonea ad arrecare disturbo agli equilibrio dell’ecosistema, integra il reato di cui agli artt. 6 e 30 legge 394 del 1991, per la violazione delle misure di salvaguardia previste per le aree protette regionali.
Infatti, l’emissione di fonti luminose costituite da luci bianche e colorate che si alternavano, con la caratteristica che il fascio bianco veniva proiettato in varie direzioni, in alto e lateralmente, mentre le luci colorate lampeggiavano, accendendosi e spegnendosi alternatamente, è idonea a incidere tanto sulla morfologia del territorio quanto sugli equilibri ecologici dello stesso, provocando quelle che viene definito tecnicamente “inquinamento luminoso”.
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Le Sezioni Unite in tema di TOSAP
Le Sezioni Unite civili della S.C. di Cassazione, con sentenza 8628 del 7.5.2020 si sono pronunciate su questione di massima di particolare importanza, affermando il seguente principio di diritto: “In tema di tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), la legittimazione passiva del rapporto tributario, in presenza di un atto di concessione o di autorizzazione rilasciati dall’ente locale, spetta, ai sensi dell’art. 39 del d.lgs n. 507 del 1993, esclusivamente al soggetto titolare di tale atto, e solo in mancanza di questo, all’occupante di fatto, rimanendo irrilevante, ai fini di imposta, l’utilizzazione del suolo pubblico consentita a soggetti terzi in virtù di atto di natura privatistica”.
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Morte del paziente e responsabilità medica: giudizio controfattuale
Nel caso di un medico imputato di omicidio colposo per la morte di un paziente per non aver prescritto e somministrato al paziente la terapia consigliata dalle linee guida (una terapia antitrombotica che, se tempestivamente effettuata, avrebbe evitato l’esito fatale), la Suprema Corte di Cassazione Sezione IV penale con sentenza 4-16.3.2020 n. 10175 ha ricordato che nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva, mentre l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo comportano l’esito assolutorio del giudizio (Sezioni Unite, n. 30328 del 10/07/2002 ud. – dep. 11/09/2002, Rv. 222139 – 01).
Si è, tuttavia precisato che il meccanismo controfattuale, necessario per stabilire l’effettivo rilievo condizionante della condotta umana (nella specie: l’effetto salvifico delle cure omesse), deve fondare non solo su affidabili informazioni scientifiche ma anche sulle contingenze significative del caso concreto, dovendosi comprendere: a) qual è solitamente l’andamento della patologia in concreto accertata; b) qual è normalmente l’efficacia delle terapie; c) quali sono i fattori che solitamente influenzano il successo degli sforzi terapeutici
In sostanza il giudizio controfattuale non può basarsi solo sul mero dato statistico astratto, ma deve considerare il caso concreto.
Pertanto il medico deve sempre valutare il caso concreto per decidere se optare per una terapia diversa rispetto a quella prevista dalle linee guida. Esse, infatti, essendo elaborate in via astratta, non possono esaurire tutte le situazioni concrete.
In base a quanto sopra, la Cassazione conclude affermando che “l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo comportano l’esito assolutorio del giudizio”.
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Il prelievo di DNA secondo la CEDU
La CEDU con sentenza 14.4.2020 nel caso Dragan Petrovi? contro Serbia si è pronunciata in relazione alla lamentata violazione dei diritti dell’imputato per essere stato sottoposto, sotto minaccia da parte della polizia, ad un prelievo di campione di DNA, senza nemmeno preventiva notifica di avviso di garanzia (e conseguente ignoranza del fatto di essere indagato per il reato per cui si procedeva).
In particolare la Corte, dopo aver dato atto dell’irrilevanza del consenso del ricorrente al tampone, in ragione delle intimidazioni degli agenti di polizia, ha accertato l’effettiva lesione del diritto al rispetto della vita privata, in quanto l’atto non è stato eseguito in conformità della legge. Difettavano, infatti nell’ordinanza i riferimenti normativi in materia di prelievo di materiale biologico (all’epoca dei fatti non prevista dal diritto serbo) e non venivano verbalizzate le operazioni di prelievo.
Del resto l’ingerenza nella vita privata rappresentata dal prelievo di DNA deve ritenersi consentita solo se: (a) sia prevista dal diritto nazionale, (b) persegua una finalità legittima e (c) sia necessaria e proporzionata a tale finalità.
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Sequestro del cane usato per atti persecutori
La S.C. di Cassazione, sezione V penale, con sentenza 1.4.2020 n. 10992 ha respinto il ricorso in tema di riesame della misura cautelare, confermando la legittimità del sequestro di un cane di razza pitbull utilizzato dal proprietario al fine di commettere condotte persecutorie ai danni della persona offesa.
Il cane infatti, di “conclamata pericolosità”, veniva usato abitualmente dall’imputato per incutere timore alla vittima, la quale era stata anche morsa dall’animale.
Siffatta situazione, secondo la Suprema Corte, legittima l’adozione della misura cautelare reale di sequestro preventivo dell’animale.
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