Diffamazione e stato d’ira

Diffamazione e stato d'iraLa S.C. di Cassazione, Sezione V penale, enuncia nella medesima sentenza 8898/2021 due interessanti principi: il primo in tema di stato d’ira (quale causa di non punibilità per il reato di diffamazione) e il secondo in tema contemperamento tra diffamazione e esercizio di un diritto.

Sotto il primo profilo  la S.C. ha affermato che la provocazione non deve essere solo percepita ma deve essere concreta e oggettiva: “il comportamento provocatorio, costituente il fatto ingiusto, che causa lo stato di ira e la reazione diffamatoria dell’offensore, anche quando non integrante gli estremi di un illecito codificato, deve comunque potersi ritenere contrario alla civile convivenza secondo una valutazione oggettiva e non in forza della mera percezione negativa che del medesimo abbia avuto l’agente. Non è dunque sufficiente che questi si sia sentito provocato, ma è necessario che egli sia stato oggettivamente provocato (Sez. 5, n. 25421 del 18/03/2014, Rv. 259882 ; Sez. 5, n. 21133 del 09/03/2018 Rv. 273131 – 01 )”.

Sotto il secondo profilo viene invece ricordato che, se per un verso la diffusione tra più persone di notizie denigratorie a carico di altri integra il reato ex art. 595 cod pen., anche se dette notizie rispondono al vero, dall’altro, la circostanza (verità della notizia) non è indifferente quando l’agente abbia tenuto la sua condotta nell’esercizio del diritto di cronaca, di critica o di legittima tutela dei suoi interessi (Sez. n. 3565 del 07/11/2007, Rv. 238909).

Pertanto ai fini del riconoscimento dell’esimente dell’esercizio di un diritto, qualora le frasi diffamatorie siano formulate a mezzo social network, il giudice, nell’apprezzare il requisito della continenza, deve tener conto non solo del tenore del linguaggio utilizzato ma anche dell’eccentricità delle modalità di esercizio della critica, restando fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali, che devono ritenersi sempre superati quando la persona offesa, oltre che al ludibrio della sua immagine, sia esposta al pubblico disprezzo.

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Diffamazione e provocazione

Diffamazione provocazioneAi sensi dell’art. 599 c.p. (“Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dall’art. 595 nello stato d’ira deterninato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso”) la provocazione può rendere non punibile il reato di diffamazione.
Tale principio è stato applicato dalla VI sezione penale della S.C. di Cassazione con sentenza 17958/2020 del 11.6.2020 anche in una fattispecie in cui veniva intimato a un avvocato il pagamento in favore di una lavanderia, contestandogli altresì di aver in precedenza lanciato al volto della titolare della lavanderia, per tacitarne le pretese, una banconota da 500 euro all’interno di un locale pubblico.
Il diffidato rispondeva “su quanto riferitole, v’è ben poco da replicare se non che tali vaneggiamenti si attagliano appieno alla veste lavorativa della Sua assistita”.
I giudici di merito hanno riconosciuto la valenza diffamatoria di tale affermazione, ma hanno ritenuto che il fatto fosse stato commesso nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso (il fatto ingiusto era costituito dalla falsa affermazione del lancio delle banconota, posto che questa accusa veniva giudicata non veritiera, in quanto testimoni confermavano come fosse stata la titolare della lavanderia a lanciare la banconota e non viceversa).
Secondo la S.C. tale decisione è corretta poiché la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione, occorrono:
a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”;
b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale;
c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta» (cfr. da ultimo Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019, Leccisi, Rv. 275894).
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