Intelligenza artificiale: la norma ISO/IEC 42001:2023

Nella ancora confusa ed embrionale regolamentazione del fenomeno dell’AI (Intelligenza Artificiale), nel mese di dicembre è stata pubblicata la norma ISO/IEC 42001:2023 “Information Technology Artificial Intelligence – Management system.

Si tratta di uno standard internazionale che specifica i requisiti per stabilire, implementare, mantenere e migliorare continuamente un sistema di gestione dell’intelligenza artificiale nell’ambito delle organizzazioni.

Tale standard è progettato per gli enti che forniscono o utilizzano prodotti o servizi basati sull’intelligenza artificiale, garantendo lo sviluppo e l’uso responsabile dei sistemi di intelligenza artificiale attraverso considerazioni etiche, trasparenza e apprendimento continuo.

ISO descrive i seguenti vantaggi derivanti dall’implementazione della norma ISO/IEC 42001:

  • IA responsabile: lo standard garantisce un uso etico e responsabile dell’intelligenza artificiale.
  • Gestione della reputazione: lo standard migliora la fiducia nelle applicazioni AI.
  • Governance dell’intelligenza artificiale: supporta la conformità agli standard normativi.
  • Guida pratica: gestisce in modo efficace i rischi specifici dell’IA.
  • Identificazione delle opportunità: incoraggia l’innovazione all’interno di un quadro strutturato.

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Tutela del whistleblowing: prime pronunce

Interessante sentenza della Sezione Lavoro del Tribunale di Milano in tema di tutela del lavoratore che abbia segnalato comportamenti illeciti.

Come noto, il recente d.lgs. 24/2023 ha stabilito le misure di tutela dei c.d. “whistleblower”, ossia coloro che denuncino ai prescritti canali interni ovvero alle autorità esterne deputate alla ricezione di tali segnalazioni, illeciti amministrativi, civili e penali, condotte illecite rilevanti ai fini della responsabilità amministrative dell’ente ex d.lgs. 231/2001 e altri illeciti che ledono gli interessi tutelati dalla UE, che vengano commessi nell’ambito della attività d’impresa.

Il decreto citato vieta ogni misura ritorsiva nei confronti del c.d. segnalante o “whistleblower” e all’art. 17 sancisce espressamente che costituiscono (a titolo esemplificativo e non esaustivo) ritorsioni:

  1. il licenziamento, la sospensione o misure equivalenti;
  2. la retrocessione di grado o la mancata promozione;
  3. il mutamento di funzioni, il cambiamento del luogo di lavoro, la riduzione dello stipendio, la modifica dell’orario di lavoro;
  4. la sospensione della formazione o qualsiasi restrizione dell’accesso alla stessa;
  5. le note di merito negative o le referenze negative;
  6. l’adozione di misure disciplinari o di altra sanzione, anche pecuniaria;
  7. la coercizione, l’intimidazione, le molestie o l’ostracismo;
  8. la discriminazione o comunque il trattamento sfavorevole;
  9. la mancata conversione di un contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, laddove il lavoratore avesse una legittima aspettativa a detta conversione;
  10. il mancato rinnovo o la risoluzione anticipata di un contratto di lavoro a termine;
  11. i danni, anche alla reputazione della persona, in particolare sui social media, o i pregiudizi economici o finanziari, comprese la perdita di opportunità economiche e la perdita di redditi;
  12. l’inserimento in elenchi impropri sulla base di un accordo settoriale o industriale formale o informale, che può comportare l’impossibilità per la persona di trovare un’occupazione nel settore o nell’industria in futuro;
  13. la conclusione anticipata o l’annullamento del contratto di fornitura di beni o servizi;
  14. l’annullamento di una licenza o di un permesso;
  15. la richiesta di sottoposizione ad accertamenti psichiatrici o medici.

In questo contesto, il Tribunale di Milano con provvedimento del 20.8.2023 ha sospeso ogni provvedimento disciplinare irrogato da una società a un dipendente che aveva effettuato una serie di segnalazioni, prima informalmente e poi formalmente, ad organi di controllo e di garanzia della società nonché al sindaco di Milano in relazione alla vicenda, poi divenuta di pubblico dominio, dei “biglietti clonati”, vale a dire il sistema creato da alcuni dipendenti infedeli per generare e vendere ” in nero” biglietti e abbonamenti non registrati dai sistemi informatici e, dunque, nemmeno contabilizzati con la correlativa perdita di somme ingentissime da parte della società datrice di lavoro e del Comune di Milano.

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Clausole abusive: il tramonto del giudicato

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la Sentenza n.9479 del 6 aprile 2023 si sono pronunciate in ordine al fatto se un decreto ingiuntivo non opposto e quindi passato in giudicato, basato su clausole abusive ai danni di un consumatore sia ormai definitivamente incontestabile o se soccorrano mezzi di tutela a favore del consumatore.

La vicenda prende le mosse da una questione di normativa europea, oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale, in merito al superamento del giudicato implicito nel provvedimento monitorio e delle possibili soluzioni per adattare gli istituti dell’ordinamento interno secondo le indicazioni della Corte di Giustizia Europea.

La Corte Europea con quattro sentenze emesse il 17 maggio 2022 (cause riunite C-693/19 e C-831/19, causa C-725/19, causa C-600/19 e causa C-869/19), in applicazione della disciplina prevista dalla direttiva europea 93/13/CEE a tutela della categoria dei consumatori, ha ritenuto superabile la definitività del decreto ingiuntivo non opposto rispetto al diritto in esso accertato in presenza di clausole abusive ed ha disposto che tutti gli Stati Membri debbano assicurare le misure idonee al fine di garantire la piena tutela riconosciuta dalla direttiva in questione

Tale direttiva sancisce all’art. 6 che “Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché il consumatore non sia privato della protezione assicurata dalla presente direttiva a motivo della scelta della legislazione di un paese terzo come legislazione applicabile al contratto, laddove il contratto presenti un legame stretto con il territorio di uno Stato membro” e all’art. 7 che “Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori”.

La giurisprudenza europea, quindi, facendo leva sulla posizione di inferiorità del consumatore, sia dal punto di vista informativo che rispetto al potere negoziale, nei confronti del professionista ha dichiarato contraria ai principi europei la normativa interna che non consente al Giudice dell’Esecuzione di poter rilevare d’ufficio l’eventuale abusività delle clausole del contratto su cui si fonda il diritto di credito accertato nel provvedimento monitorio non opposto.

Questa pronuncia, come è agevole comprendere pone in discussione il principio del giudicato, posto che – secondo la normativa italiana, il decreto ingiuntivo fa stato tra le parti sia sul dedotto (il diritto di credito) sia sul deducibile (il contenuto del contratto).

Ebbene, le Sezioni Unite della Cassazione, con la Sentenza n. 9479 del 6 aprile 2023, hanno deciso che la clausola del contratto resta abusiva anche se il consumatore non si è opposto all’ingiunzione. Spetta quindi al giudice dell’esecuzione controllare se la clausola abbia natura vessatoria.

Nello specifico, le SS.UU. hanno affermato i seguenti principî:

Fase monitoria

Il giudice del monitorio:

a)     deve svolgere, d’ufficio, il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della controversia;

b)    a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell’art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d’ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d’ingiunzione:

b1)      potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore;

b2)      ove l’accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un’istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l’istanza d’ingiunzione;

c)        all’esito del controllo:

c.1)     se rileva l’abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all’accoglimento parziale del ricorso;

c.2)     se, invece, il controllo sull’abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell’art. 641 c.p.c., anche in relazione alla anzidetta effettuata delibazione;

c.3)     il decreto ingiuntivo conterrà l’avvertimento indicato dall’art. 641 c.p.c., nonché l’espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile.

Fase esecutiva

Il giudice dell’esecuzione:

a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;

b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;

c) dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo;

d) fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito;

(ulteriori evenienze)

e) se il debitore ha proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l’abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii);

f) se il debitore ha proposto un’opposizione esecutiva per far valere l’abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva – se del caso rilevando l’abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore.

Fase di cognizione

Il giudice dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.:

a) una volta investito dell’opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ex art. 649 c.p.c., l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l’accertamento sull’abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale;

b) procederà, quindi, secondo le forme di rito.

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Piano genitoriale, lo schema del CNF

L’art. 473bis 12 c.p.c. introdotto dalla Riforma Cartabia, all’ultimo comma, prevede che “Nei procedimenti relativi ai minori, al ricorso è allegato un piano genitoriale che indica gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente godute”.

Il Consiglio Nazionale Forense nella seduta amministrativa del 19 maggio u.s., ha approvato una proposta di schema di piano genitoriale elaborato dalla Commissione per il Diritto di famiglia.

Come indicato nella circolare del CNF (scarica qui) il documento si propone infatti di fornire una “fotografia” della situazione familiare esistente al momento del sopraggiungere della crisi, dando atto delle modalità utilizzate dai genitori per la gestione dei figli minori, nonché della situazione di questi ultimi rispetto alle principali criticità che emergono al momento della rottura del legame, conforme a parametri di chiarezza e sinteticità.

Si tratta di uno strumento da utilizzare in sede di redazione del progetto educativo dei figli, introdotto dalla Riforma Cartabia.

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Calunnia verso i colleghi: legittimo il licenziamento senza preavviso

Calunnia di Botticelli licenziamentoLa S.C. di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza 7225 del 13.3.2023 si è pronunciata in una fattispecie relativa a un dipendente di Polizia Locale nei confronti del quale era stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per sei giorni, in ragione della violazione dell’art. 3, co. 4 lett. b) e comma 5 lett. b), g) ed i) del CCNL Comparto Regioni ed Autonomie Locali, per avere lo stesso denigrato il Comandante del Corpo, attribuendogli un comportamento scorretto ed irrispettoso ed il Corpo stesso, esprimendo su di esso un giudizio negativo e tale da far desumere lo svolgimento al suo/interno di attività illecite, oltre che per avere gravemente diffamato un collega, attribuendogli comportamenti sessualmente molesti ed osceni ed avere tenuto un comportamento scorretto nei riguardi di altro superiore.

La S.C. ha sancito la legittimità del licenziamento senza preavviso adottato dalla pubblica amministrazione.

Sussistono secondo la Corte, in una condotta come quella sopra descritta, tutti gli elementi di fatto della fattispecie di cui all’articolo 55 quater lettera e) del decreto legislativo: risultano reiterate le condotte che ledono la dignità personale altrui, laddove la calunnia nei confronti del comandante e dei colleghi risulta accertata in sede penale con sentenza passata in giudicato.

Ad avviso della Suprema Corte si tratta di condotte gravi in quanto la denigrazione colpisce il Corpo di polizia, dunque l’istituzione di appartenenza.

Non assume rilievo la circostanza che la querela rivelatasi calunniosa, sia un atto esterno all’ambiente di lavoro: è invece sufficiente che l’atto illecito abbia conseguenze dirette all’interno della sfera anche se non risulta commesso nel luogo dove si svolge il servizio.

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