Legge delega n. 78/2022 e avvio della riforma dei contratti pubblici

appalti pubbliciE’ stata pubblicata nella GURI n. 146 del 24 giugno scorso la Legge 21 giugno 2022, n. 78 recante “Delega al Governo in materia di contratti pubblici”. Con la pubblicazione in Gazzetta iniziano dunque a decorrere i sei mesi previsti per l’adozione da parte del Governo del nuovo Codice.

Come oramai noto, tra gli impegni assunti dal Governo italiano per l’attuazione del PNRR, nel quadro delle c.d. “riforme abilitanti” figura proprio la revisione dell’attuale Codice dei contratti pubblici, il quale, come si rileva nello stesso PNRR “ha causato diverse difficoltà attuative”.

La legge si compone di due articoli: l’articolo 1 reca la norma di delega al Governo in materia di contratti pubblici. In particolare, il comma 1 delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega, uno o piu? decreti legislativi relativi alla disciplina dei contratti pubblici, al fine di adeguare la disciplina dei contratti pubblici a quella del diritto europeo e ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, interne e sovranazionali, e di razionalizzare, riordinare e semplificare la disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, nonche? al fine di evitare l’avvio di procedure di infrazione da parte della Commissione europea e di giungere alla risoluzione delle procedure avviate.

L’art. 1 prevede un lungo elenco di principi e criteri direttivi: riduzione e la razionalizzazione delle norme in materia di contratti pubblici, divieto di gold-plating, tutela delle MPMI, ecc.,  mentre alcuni criteri direttivi della delega, rispetto al disegno di legge inizialmente approvato dal Governo, sono stati integrati in sede referente da parte dell’VIII Commissione ambiente del Senato, evidenziando una particolare attenzione alla tutela del lavoro,  della sicurezza, alle politiche inclusive dei soggetti svantaggiati e all’integrazione del “socially responsible procurement”.

Scarica qui il testo integrale della legge.

Scarica qui la nostra newsletter che illustra i caratteri generali della riforma.

Curatore speciale del minore: linee guida CNF

curatore speciale minore cnfLo scorso 22 giugno, è entrata in vigore la recente riforma del processo civile e, in particolar modo, le norme relative al Curatore speciale del minore.

L’art. 78 c.p.c. prevede che “Se manca la persona a cui spetta la rappresentanza o l’assistenza, e vi sono ragioni d’urgenza, può essere nominato all’incapace (…) un curatore speciale che li rappresenti o assista finché subentri colui al quale spetta la rappresentanza o l’assistenza.

Si procede altresì alla nomina di un curatore speciale al rappresentato, quando vi è conflitto di interessi col rappresentante.

Il giudice provvede alla nomina del curatore speciale del minore, anche d’ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento:

  • con riguardo ai casi in cui il pubblico ministero abbia chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, o in cui uno dei genitori abbia chiesto la decadenza dell’altro;
  • in caso di adozione di provvedimenti ai sensi dell’articolo 403 del codice civile o di affidamento del minore ai sensi degli articoli 2 e seguenti della legge 4 maggio 1983, n. 184;
  • nel caso in cui dai fatti emersi nel procedimento venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore tale da precluderne l’adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori;
  • quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni.

In ogni caso il giudice può nominare un curatore speciale quando i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore; il provvedimento di nomina del curatore deve essere succintamente motivato”.

Si tratta quindi di una figura nominata dal Giudice e incaricata di rappresentare ed assistere il minore in tutti i procedimenti nei quali, anche solo in astratto, si configura l’ipotesi di conflitto di interessi tra e con i genitori.

Il Consiglio Nazionale Forense ha pubblicato una breve guida, elaborata di concerto con la Commissione diritto di famiglia e con le associazioni specialistiche.

Si tratta di raccomandazioni ispirate al codice deontologico forense, ed al rispetto dei principi di indipendenza, competenza, correttezza e lealtà dell’avvocato.

Scarica qui la guida del CNF.

No all’abuso d’ufficio se si esercita un potere discrezionale

abuso d'ufficioCome noto, il reato di abuso d’ufficio è stato riformato dall’art. 23 del Decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (v. la nostra newsletter del 20.7.2020).

Il nuovo testo dell’art. 323 c.p. recita “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità”.

La riforma è stata introdotta con l’intento di tranquillizzare funzionari e amministratori pubblici, chiamati a “darsi da fare” per facilitare la ripresa del paese, finalità perseguita con una asserita maggiore specificità della fattispecie.

Con sentenza 8/2022 del 18.1.2022 la Corte Costituzionale era stata chiamata a pronunciarsi su detto articolo, negando che tale norma abbia depotenziato eccessivamente la tutela del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione (articoli 3 e 97 della Costituzione). Scarica qui sentenza e comunicato della Consulta.

Ora, mutando il proprio orientamento abbastanza sedimentato, anche la S.C. di Cassazione, Sezione VI penale, con sentenza 13136/2022 afferma che “Fermi restando l’immutato riferimento all’elemento psicologico del dolo intenzionale e l’immodificato richiamo alla fattispecie dell’abuso di ufficio per violazione, da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, dell’obbligo di astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti (ipotesi di reato che non è variata nei suoi elementi costitutivi), il delitto di abuso di ufficio per violazione di legge, inconseguenza delle indicate modifiche introdotte nell’art. 323 cod. pen., è ora configurabile solamente nei casi in cui la violazione da parte dell’agente pubblico abbia avuto ad oggetto “specifiche regole di condotta” e non anche regole di carattere generale; solo se tali specifiche regole sono dettate “da norme di legge o da atti aventi forza di legge”, dunque non anche quelle fissate da meri regolamenti ovvero da altri atti normativi di fonte subprimaria; e, in ogni caso, a condizione che le regole siano formulate in termini da non lasciare alcun margine di discrezionalità all’agente, restando perciò esclusa l’applicabilità della norma incriminatrice laddove quelle regole di condotta rispondano in concreto, anche in misura marginale, all’esercizio di un potere discrezionale (in questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 8057 del 28/01/2021, Asole, Rv. 280965; Sez. 6, n. 442 del 09/12/2020, dep. 2021, Garau, Rv. 280296)”.

Di fatto viene affermato che non costituisce più reato il comportamento caratterizzato da esercizio di un potere di discrezionalità.

Scarica qui la sentenza integrale.

Danni morali dalla nascita al figlio che cresce senza padre

figlio abbandonato dal padreIl mancato adempimento di un padre, il cui riconoscimento di paternità sia avvenuto giudizialmente, al proprio obbligo di mantenere, istruire ed educare il figlio e il disinteresse mostrato nei confronti di questo, oltre ad integrare una grave violazione dei doveri di cura e assistenza morale, inevitabilmente provoca una grave lesione dei diritti del figlio nascenti dal rapporto di filiazione, e ciò a prescindere dal fatto che solo l’altro genitore lo abbia riconosciuto alla nascita e provveduto in via esclusiva al suo mantenimento, restando fermo comunque il dovere dell’altro genitore, anche per il periodo che precede la sentenza dichiarativa della paternità, di ottemperare ai propri doveri (Cass., sez. 1, 22/11/2013, n. 26205, Cass., sez. 1, 10/04/2012, n. 5652).

L’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio nasce proprio al momento della sua nascita, anche se la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza, producendo la sentenza dichiarativa della filiazione naturale gli effetti del riconoscimento e comportando per il genitore, ai sensi dell’art. 261 cod. civ., tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ai sensi dell’art. 148 cod. civ.

L’obbligazione trova la sua ragione giustificatrice nello status di genitore, la cui efficacia retroattiva è datata appunto al momento della nascita del figlio, per cui l’obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 cod. civ.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsiasi domanda giudiziale. Con la ulteriore conseguenza che, anche nell’ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, per ciò stesso non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, proprio perché il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato, nei confronti di entrambi i genitori, e sorto fin dalla sua nascita.

E’ quanto statuito dalla sentenza della III sezione civile della S.C. di Cassazione 15148/2022, che, enucleando la nozione di illecito endofamiliare, ritiene che la violazione dei relativi doveri non trovi la sua sanzione, necessariamente e soltanto, nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma comporta che la relativa violazione, nell’ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’art. 2059 c.c..

Difatti, omettendo di onorare i propri doveri di genitore, può essere ritenuto sussistente il danno risarcibile in conseguenza della lesione di diritti inviolabili (o fondamentali) della persona, oggetto di tutela costituzionale (artt. 2 e 30 Cost.).

Ai fini della quantificazione del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dal figlio per la totale assenza della figura paterna, i giudici di merito hanno legittimamente fatto ricorso al criterio equitativo per determinarne l’importo, non altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare.

In particolare, il danno subito dal figlio deve essere liquidato in misura proporzionale “alla maggiore incidenza dell’assenza della figura paterna durante il periodo cruciale degli anni di sviluppo e crescita (0-18 anni) e poi in misura decrescente per il periodo successivo, quando ormai la situazione abbandonica può ritenersi, almeno parzialmente, stabilizzata ed ormai, presumibilmente, quasi metabolizzata o in fase di progressiva compensazione”.

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Datore di lavoro e RSPP

datore di lavoro e rsppInteressante pronuncia della Cassazione in tema di deleghe e sicurezza sul lavoro.

Afferma la S.C. con sentenza 16562/2022 che il datore di lavoro che assommi su di sé anche la qualifica di RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) quando la normativa preveda che tali ruoli siano rivestiti da soggetti diversi, incorre in un “colposo difetto di organizzazione” che può essere considerato ai fini dell’imputazione di responsabilità di un infortunio sul lavoro.

Viene affermato che la considerazione che l’imputato alla qualifica datoriale -formale e sostanziale – abbia impropriamente cumulato quella di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, quindi anche di soggetto deputato alla elaborazione materiale della valutazione del rischio, contribuisce a costituire in capo al medesimo soggetto un coacervo di tutti gli obblighi che convergono in materia di valutazione del rischio, di posizione di garanzia, di adempimenti datoriali. Infatti, sebbene la qualità di datore di lavoro e quella di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in relazione alle dimensioni dell’azienda, avrebbe dovuto risiedere in capo a soggetti diversi, aver unificato entrambe le funzioni, per scelta dello stesso datore di lavoro, contribuisce da un lato a recare confusione nell’ambito dei ruoli decisionali e consultivi nella gerarchia della organizzazione e gestione della sicurezza del lavoro, e dall’altro a concentrare in capo al medesimo soggetto tutti gli oneri esecutivi, elaborativi e decisionali in materia di valutazione, gestione, organizzazione del rischio e di esercizio dei poteri decisionali e di spesa che caratterizzano la figura del datore di lavoro.

Il cumulo di due diversi ruoli – in un caso non previsto dalla normativa vigente all’epoca dei fatti – laddove tali ruoli secondo l’architettura normativa tipica avrebbero dovuto risiedere in capo a soggetti diversi, e invece sono stati confusi, depone per una colpevole opacità e disfunzione organizzativa.

Si tratta di un duplice profilo causale colposo che nel caso concreto ha manifestato tutta la sua nocività e ha ingenerato da parte dei lavoratori un incolpevole e legittimo affidamento sul corretto svolgimento dei ruoli e sull’esercizio dei poteri inerenti alle diverse posizioni di garanzia.

Il ruolo consultivo e interlocutorio del r.s.p.p. deve essere funzionalmente distinto da qualsiasi ruolo decisionale, soprattutto da quello datoriale, perché altrimenti si incrociano posizioni e funzioni con compiti strutturalmente diversi, che devono cooperare su piani diversi, decisionale il primo, consultivo il secondo.

La dialettica tra chi esercita i poteri organizzativi e chi ha un ruolo tecnico ed elaborativo costituisce la sintesi di base da cui prende le mosse ogni determinazione organizzativa, amministrativa, tecnica, produttiva, in materia di sicurezza. Di conseguenza la confusione dei ruoli di per sé è indice di un colposo difetto di organizzazione che ricade sul datore di lavoro, tutt’altro che esimente.

Scarica qui la sentenza integrale.