La tematica delle offese sui social network è quanto mai attuale, essendo internet divenuto il mezzo con il quale viene commesso il maggior numero di reati contro l’onore.
La recente sentenza della Cassazione n. 18057/2023 della V sezione penale entra nel merito in ordine ad offese asseritamente giustificate dal contrasto politico.
Il ricorrente sosteneva che le frasi utilizzate non avessero valenza offensiva né contenuto violento, costituendo espressioni dialettali usuali tra persone in confidenza, utilizzate peraltro nei confronti di persona con cui da tempo intercorrevano dissidi verbali a sfondo politico.
Nella fattispecie venivano pubblicate sulla pagina Facebook di un gruppo frasi come “Ignorante libero …. sia personalmente che politicamente (…) la verità è che sei tutto cretino (…) non arrivi a capire perché sei ignorante libero (…) si tu ca un maccaruni senza puttusu (…) certe cazzate scrivile sul tuo sito (…) non tela prendere (…) porta pazienza ma si vede che ti hanno classificato nella categoria sciacqua lattughe”
La Corte ha avuto modo di sottolineare come “Nel caso in esame, quindi, il contesto di contrasto politico appare del tutto genericamente evocato, e, in molti casi, del tutto escluso dalla sentenza impugnata, apparendo le frasi e gli epiteti utilizzati non inquadrabili neanche in un contesto di contrapposizione politica, né di dileggio personale tra soggetti legati da vincoli di conoscenza, con conseguente piena integrazione della condotta di diffamazione“.
Tale scelta appare del tutto coerente con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui il limite della continenza nel diritto di critica è superato in caso di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato (cfr. Cass. Sez. 5, n. 320 del 14/10/2021, dep. 10/01/2022, Mihai Traian Claudiu, Rv. 282871; Sez. 5, n. 15089 del 29/11/2019, P.M. c. Cascio Antonino, Rv. 279084; Sez. 5, n. 15060 del 23/02/2011, Dessì e altro, Rv. 250174).
E ancora, prosegue la S.C., “benché determinati epiteti, quali quelli utilizzati dall’imputato, siano entrati nel linguaggio comune o rappresentino modalità verbali colloquiali, nondimeno la loro valenza offensiva non è stata vanificata dall’uso, ma semplicemente attenuata in riferimento, tuttavia, a contesti specifici – quali quelli di tipo colloquiale, personale, tra soggetti legati da vincoli di amicizia e simili -, dovendo ritenersi come la valenza denigratoria insita nel lemma lessicale si riespanda totalmente allorquando l’uso risulti del tutto gratuito, come verificatosi nel caso in esame”.
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