Può un verbale di conciliazione sindacale essere sottoscritto presso la sede aziendale?
L’art. 2113 c.c. sancisce che “Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide.
L’impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.
Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà.
Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410 e 411, 412 ter e 412 quater del codice di procedura civile”.
Si tratta di una regola del sistema normativo lavoristico finalizzata a dare effettività all’intera disciplina in materia di lavoro subordinato, le cui norme di protezione verrebbero altrimenti facilmente eluse attraverso la sottoscrizione “forzata” di accordi di rinuncia, sulla base del maggior potere contrattuale del datore di lavoro rispetto al lavoratore.
Esulano, invece, da questa particolare disciplina, le rinunce e transazioni effettuate in un accordo stipulato presso una c.d. “sede protetta”, quale – a titolo esemplificativo – l’accordo sottoscritto dinanzi una commissione di conciliazione, ovvero in sede sindacale, o attraverso una negoziazione assistita da avvocati.
Ebbene, recentemente la Corte di Cassazione ha stabilito che tale principio assume una valenza sostanziale, laddove non è sufficiente la mera presenza di un sindacalista a garantire il rispetto dell’art. 2113 c.c., ma occorre che l’accordo conciliativo sia effettivamente stipulato in un luogo fisico che sia “neutro” per il lavoratore.
In particolare, con ordinanza n. 10065/2024, la Cassazione, Sezione Lavoro, ha affermato come “nel sistema normativo […] la protezione del lavoratore non è affidata unicamente alla assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l’assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere. Le citate disposizioni del codice di procedura civile individuano infatti non solo gli organi dinanzi ai quali possono svolgersi le conciliazioni ma anche le sedi ove ciò può avvenire, come emerge in modo inequivoco dal tenore letterale delle stesse”.
Prosegue la S.C. affermando che “i luoghi selezionati dal legislatore hanno carattere tassativo e non ammettono, pertanto, equipollenti, sia perché direttamente collegati all’organo deputato alla conciliazione e sia in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo al dominio e all’influenza della controparte datoriale”.
Conseguentemente è stato enunciato il seguente principio di diritto: “la conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell’art. 411, comma 3, c.p.c., non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette, avente il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente alla assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore”.
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