E’ legittimo riprendere con videoregistrazioni un vicino di casa, soprattutto se ciò avvenga per dimostrare che lo stesso commette atti persecutori ai danni di altro condomino.
Lo ha deciso la S.C. di Cassazione, Sezione V penale con sentenza 17346 dell’8.6.2020, nell’ambito di una fattispecie in cui gli imputati erano chiamati a rispondere della contestazione di atti persecutori ai danni della persona offesa, per aver compiuto varie azioni intimidatorie, occupando un’area comune con il loro camper, nonché con ingiurie e minacce gravi, anche di morte, e un tentativo di investimento; le condotte si sono protratte per circa 2 anni ed è stato accertato dai giudici di merito che esse hanno arrecato un grave stato di ansia e paura alla vittima, nonché un fondato timore per la propria incolumità.
La condizione che abilita la videoregistrazione è che la stessa avvenga in luogo pubblico o aperto al pubblico.
La Corte ha infatti sottolineato come già le Sezioni Unite con la pronuncia Sez. U, n. 26795 del 28/3/2006, Prisco, Rv. 234267, abbiano già affermato che le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico, non effettuate nell’ambito del procedimento penale, vanno incluse nella categoria dei “documenti” di cui all’art. 234 cod. proc. pen., mentre, se eseguite dalla polizia giudiziaria, anche d’iniziativa, vanno incluse nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall’art. 189 cod. proc. pen. e, trattandosi della documentazione di attività investigativa non ripetibile, possono essere allegate al relativo verbale e inserite nel fascicolo per il dibattimento.
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Mese: Giugno 2020
Giurisdizione in tema di dismissione del patrimonio regionale
Le Sezioni Unite della S.C. di Cassazione con sentenza 7831/2020 del 14.4.2020 in sede di conflitto di giurisdizione hanno stabilito che in tema di dismissione del patrimonio immobiliare delle Regioni (nella specie della Emilia Romagna ex l.r. n. 10 del 2000) in regime di concessione, la controversia relativa alla esatta determinazione del prezzo contenuto nell’offerta inoltrata al concessionario per consentirgli l’esercizio del diritto di prelazione spetta alla giurisdizione del giudice amministrativo, atteso che l’imposizione normativa del “valore di mercato” quale corrispettivo del bene oggetto di dismissione non depriva di discrezionalità l’ente pubblico nel conformare la proposta di vendita, discrezionalità che, anche se tecnica, conferisce al privato aspirante all’acquisto esclusivamente una posizione giuridica di interesse legittimo (pretensivo) alla corretta determinazione del prezzo di vendita; solo dopo che l’offerta è stata formulata dal proponente e ricevuta dal concessionario, il prezzo indicato integra una componente dell’oggetto della prelazione ed esce dalla discrezionalità, sia pure solo tecnica, dell’offerente e quindi il concessionario può avvalersi rispetto ad essa del suo diritto di prelazione.
In tale fattispecie viene infatti a rilevare la tutela di un interesse legittimo pretensivo in riferimento al risultato dell’esercizio della discrezionalità tecnica consistito nella determinazione del prezzo, elemento indispensabile nella proposta di dismissione verso la quale è stato avviato il procedimento amministrativo nel cui ambito tale discrezionalità viene esercitata. L’accertamento della correttezza o meno dell’esercizio del potere discrezionale – non “sradicato” mediante il riferimento legislativo al prezzo di mercato, come rimarca la giurisprudenza delle medesime Sezioni Unite più sopra richiamata (da Cass. Sezioni Unite 22 aprile 2013 n. 9692 in poi) – da parte dell’ente pubblico nella conformazione della proposta di vendita per dismissione sotto il profilo del prezzo costituisce proprio il petitum sostanziale, da cui discende la giurisdizione amministrativa.
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Affido provvisorio del cane maltrattato
La Legge n. 189 del 2004, ha introdotto quattro nuove fattispecie delittuose (art. 544 bis, 544 ter, 544 quater e 545 quinquies c.p.), sotto il nuovo titolo dedicato ai “delitti contro il sentimento per gli animali”) del libro secondo del codice penale, modificando altresì il testo dell’art. 727 c.p., ora rubricato “abbandono di animali”, inserendo inoltre una nuova previsione, l’art. 544 sexies c.p., secondo cui, in caso di condanna o di applicazione di pena concordata per i delitti previsti dall’art. 544 ter (maltrattamento di animali), art. 544 quater (organizzazione di spettacoli che comportino sevizie o strazio per gli animali) e art. 545 quinquies (promozione di combattimenti tra animali che ne mettano in pericolo l’integrità fisica), è prevista la confisca obbligatoria dell’animale, salvo che appartenga a persona estranea al reato, non essendo tale previsione operante per l’art. 544 ter c.p., che sanziona il delitto di uccisione di animale, nell’ovvio presupposto che in tal caso che non vi siano animali sopravvissuti da tutelare.
Parallelamente, sono state introdotte due nuove disposizioni di coordinamento del codice penale, ovvero gli artt. 19 ter e 19 quater, il secondo dei quali, rubricato “affidamento degli animali sequestrati o confiscati”, nell’ottica di approntare una più efficace protezione ai destinatari delle condotte illecite, prevede espressamente che gli animali oggetto di provvedimenti di sequestro o di confisca sono affidati ad associazioni o enti che ne facciano richiesta, individuati con decreto del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro dell’interno.
La detenzione di animali nelle condizioni previste dal comma 2 dell’art. 544 sexies c.p. (“condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze”), costituendo reato, sia pure contravvenzionale, rientra comunque nell’ipotesi di confisca obbligatoria ex art. 240 c.p., comma 2, n. 2, in forza del quale deve sempre essere ordinata la confisca delle cose, la detenzione delle quali costituisca reato, a meno che esse non appartengano a persone estranee al reato.
In questo quadro di riferimento la S.C. ha preso in esame la questione se, operato il sequestro degli animali che si assumono maltrattati o comunque destinatari di una delle altre condotte illecite penalmente sanzionate, sia possibile disporne l’affidamento ai privati prima della definizione del procedimento penale.
Tale quesito ha già ricevuto risposta positiva dalla giurisprudenza di legittimità, essendo stato precisato (Sez. 3, n. 22039 del 21/04/2010, Rv. 247656) che l’affidamento provvisorio a privati degli animali oggetto di sequestro, effettuato nel corso del processo in attesa di individuare gli enti e associazioni che si dichiarino disponibili ad accoglierli, non contrasta con la previsione di cui all’art. 19 quater disp. att. c.p., che non pone affatto limitazioni al riguardo.
La S.C. di Cassazione, sezione III penale, con sentenza 16480 del 29.5.2020 ha affermato che prima che l’accertamento sulla responsabilità degli imputati non diventi irrevocabile, è consentito l’affidamento provvisorio ma non quello definitivo, in quanto disporre definitivamente dell’animale di un imputato, in assenza di una eventuale statuizione di confisca, non può considerarsi operazione legittima, alla luce della presunzione di non colpevolezza prevista dall’art. 27 Cost., comma 3.
L’esigenza di assicurare agli animali sequestrati un’adeguata protezione mediante l’affidamento temporaneo a soggetti privati pronti a prestare loro accoglienza, non può essere estesa fino al punto di sacrificare il principio per cui, fino all’accertamento irrevocabile della responsabilità penale dell’imputato, non può procedersi all’ablazione definitiva di quanto nella sua disponibilità. Deve pertanto ritenersi legittima la decisione di consentire affidamenti soltanto provvisori degli animali di proprietà dell’indagato/imputato, non risultando decisiva l’obiezione secondo cui, in caso di restituzione dell’animale all’avente diritto ove questi sia assolto, verrebbe spezzato il legame affettivo instauratosi tra l’animale e il nuovo detentore.
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Furto del bancomat: il correntista perde solo 150 euro salvo che non versi in colpa grave
In una controversia relativa alla richiesta di rimborso, da parte di un correntista, di quanto illecitamente prelevato tramite tessera bancomat sottratta da terzi, la S.C. di Cassazione (v. ordinanza 9721 del 26.5.2020), ha affermato che in tema di responsabilità della banca in caso di operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema (il che rappresenta interesse degli stessi operatori), è del tutto ragionevole ricondurre nell’area del rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento, prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente, la possibilità di una utilizzazione dei codici di accesso al sistema da parte dei terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo. Ne consegue che, anche prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 11 del 2010, attuativo della direttiva n. 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, la banca, cui è richiesta una diligenza di natura tecnica, da valutarsi con il parametro dell’accorto banchiere, è tenuta a fornire la prova della riconducibilità dell’operazione al cliente (Cass. N. 2950 / 2017).
Questa regola, dettata per i casi anteriori, è stata confermata dal D.Lgs. n. 11 del 2010, secondo cui l’onere di dimostrare che l’operazione, posta in essere illecitamente dal terzo, è stata comunque effettuata correttamente e che non v’è stata anomalia che abbia consentito la fraudolenta operazione, grava, per l’appunto sulla banca (D. lgs. n. 11 del 2010, art. 10, comma 1).
Infine, postulando pur sempre la natura contrattuale del rapporto tra banca e correntista e dunque un certo rilievo dell’art. 1176 c.c. in tema di diligenza delle parti del rapporto di conto, si è osservato che la responsabilità della banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, con particolare riguardo alla verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell’utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi, ha natura contrattuale e, quindi, va esclusa se ricorre una situazione di colpa grave dell’utente, configurabile nel caso di protratta mancata attivazione di una qualsiasi forma di controllo degli estratti conto (Cass. N. 18045/ 2019).
In sostanza, da un lato, grava sulla banca l’onere di diligenza di impedire prelievi abusivi, per altro verso grava sempre sulla banca l’onere di dimostrare che il prelievo non è opera di terzi, ma è riconducibile comunque alla volontà del cliente. Infine, quest’ultimo subisce le conseguenze della perdita se, per colpa grave, ha dato adito o ha aggravato il prelievo illegittimo.
Sulla base di tali principi la S.C. ha dichiarato illegittimo far gravare l’onere della prova sui correntisti, incaricando questi ultimi di dimostrare di non aver ceduto ad alcuno la tessera o il PIN e di avere diligentemente custodito la carta, senza considerare che, in ragione delle norme citate, è onere non dei correntisti, ma della Banca, dimostrare la riconducibilità dell’operazione al cliente e non al terzo.
In tal modo si violerebbe il dato legislativo, facendo invece prevalere il significato proprio delle condizioni generali di contratto, che pone a carico del correntista, qualora ovviamente emerga l’uso indebito da parte del terzo, solo la somma di 150 Euro di quanto indebitamente prelevato prima della denuncia di blocco (art. 12, comma 3 del d.lgs 11/2010 citato).
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Da Gorgonzola a Cassano d’Adda
Arclex Avvocati Associati informa che da questa settimana la sede di Gorgonzola si è trasferita al nuovo indirizzo di Cassano d’Adda (MI) Via Monte Grappa 3.
Cambiano anche i numeri di telefono e fax:
Tel. 0363.681003
Fax 0363.681004
Vi aspettiamo nel nuovo studio ubicato in una bellissima palazzina d’epoca adiacente alla Chiesa di San Dionigi.