Assistenza a una madre disabile non significa permanenza continua nella abitazione della stessa.
Secondo la Cassazione tale assistenza si può estrinsecare anche con altre attività (ad es. commissioni al di fuori dell’abitazione) sempre che vi sia un nesso con la finalità di ausilio al disabile.
Infatti, in una fattispecie ove veniva contestato a una lavoratrice di aver fruito abusivamente dei permessi previsti dall’art. 33, co. 3, della legge n. 104/92 per non aver prestato effettiva assistenza alla madre disabile durante il periodo di fruizione dei permessi, la Corte di Cassazione, sezione Lavoro con sentenza 12032/2020 del 19.6.2020 ha affermato che l’assistenza che legittima il beneficio in favore del lavoratore, pur non potendo intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, deve comunque garantire al familiare disabile in situazione di gravità di cui all’art. 3, comma 3, della I. n. 104 del 1992 un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globale (Cass. n. 19580/2019 cit.).
La Corte ha ricordato che per affermare l’abuso dei permessi ex lege 104/1992 è necessaria la prova diretta o indiretta dell’assenza di assistenza e/o dello svolgimento da parte del lavoratore in permesso di attività incompatibili con la prestazione della stessa (Cfr. fra le più recenti, Cass. n. 19850 del 2019, ma, negli stessi termini, Cass. n.4984/2014, Cass. n. 8784/2015; Cass. n. 5574/2016, Cass. n. 5574/2016; Cass. n. 9217/2016, cui si possono aggiungere, fra le altre, Cass. n. 17968/2016).
Pertanto soltanto ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo che genera la responsabilità del dipendente (ancora Cass. n. 19580/2019 cit.).
La Corte, ribadendo che i permessi vengano fruiti in coerenza con la loro funzione ed in presenza di un nesso causale con l’attività di assistenza, ha escluso il difetto di buona fede ed il disvalore sociale connesso all’abusivo esercizio del permesso poiché l’atteggiamento della lavoratrice non è stato quello di profittare del permesso per attendere ad attività di proprio esclusivo interesse.
Scarica qui la sentenza integrale.