Interessante la recente sentenza della Suprema Corte che ha trattato il caso di un imputato, condannato per tentato omicidio per aver sferrato un fendente con un coltello nel costato di chi lo aveva aggredito nell’ambito di una rissa, e ha invocato la causa di giustificazione della legittima difesa.
La S.C. di Cassazione con sentenza 20741 depositata il 13.7.2020 ha considerato:
a) che se è vero che l’esimente della legittima difesa non è applicabile a chi abbia agito nella ragionevole previsione di determinare una risposta aggressiva, la sentenza di condanna non solo non chiariva quale fosse stato l’atteggiamento provocatorio o di sfida tenuto dall’imputato, partecipe, al pari di tutti i corissanti, ad un alterco svoltosi a distanza e consistito in un reciproco scambio di insulti, ma negava espressamente che egli avesse, nel corso di esso, lanciato una sfida agli avversari, estraendo e brandendo il coltello;
b) che una mera discussione, poco importa da chi originata, non è motivo sufficiente a giustificare un’aggressione fisica, né vale a configurare l’innesco di una sfida o la volontaria provocazione di una situazione di pericolo, cui si accompagni non solo la previsione ma addirittura il proposito, secondo quanto apoditticamente si afferma, di fronteggiare l’avversario con un’arma opportunamente tenuta celata;
c) che non appare rispettoso della stessa ricostruzione dei fatti operata in sentenza non tener conto che la condotta reattiva dell’imputato era seguita non già allo scambio di ingiurie, ma a un comportamento della vittima che aveva spostato la contesa verbale sul piano del confronto fisico: era stata la vittima a staccarsi dagli amici e ad avvinarsi, anzi a “scagliarsi” contro l’imputato con “l’intenzione di fargliela pagare”, così mostrando non solo e non tanto la superfluità della – contestuale e peraltro erronea sottolineatura dell’omessa conferma, da parte del teste oculare, delle già riferite modalità dell’aggressione, ma implicitamente ammettendo che un’aggressione fisica vi era stata ad opera della vittima, del quale si rimarcava la superiorità fisica rispetto all’avversario. E l’attualità del pericolo, richiesta per la configurabilità della scriminante, implica un effettivo, preciso contegno del soggetto antagonista prodromico di una determinata offesa ingiusta, la quale si prospetti come concreta e imminente, così da rendere necessaria la reazione difensiva, restando estranea all’area di applicazione della scriminante ogni ipotesi di difesa preventiva o anticipata; ma tale non sarebbe certamente la condotta tenuta dall’imputato che, secondo la ricostruzione offerta, ha estratto il coltello solo quando l’antagonista era passato al contatto fisico.
Dopo aver precisato quanto sopra, la S.C. ha ricordato che, quando vi è il dubbio sulla esistenza di una causa di giustificazione, in presenza di un principio di prova o di una prova incompleta, esso non può che giovare all’imputato (Sez. 1, n. 9708 del 7 luglio 1992, Giacometti, Rv. 191886; Sez. 5, n. 10332 del 5 settembre 1995, Lajacona, Rv. n. 202658; Sez. 1, n. 8983 del 8 luglio 1997, Boiardi, Rv. n. 208473; Sez. 2, n. 32859 del 4 luglio 2007, Pagliaro, Rv. 237758); e lo stesso vale con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo, quando emergano circostanze di fatto che giustifichino la ragionevole persuasione di una situazione di pericolo e sorreggano l’erroneo convincimento di versare nella necessità di difesa, poiché tali circostanze, anche se considerate non del tutto certe, portano ugualmente a ritenere sussistente la legittima difesa putativa (Sez. 4, n. 4474 del 15/11/1990, P.M. in proc. Abate, Rv. 187319).
E ogni volta che sia ipotizzabile (anche come conseguenza dell’applicazione del canone in dubio pro reo) la difesa legittima, non basta una oggettiva sproporzione del mezzo usato e delle conseguenze prodotte a fare ritenere comunque sussistente la responsabilità di chi reagisce a titolo di colpa.
L’adeguatezza della reazione va verificata con riferimento alle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non astratto, in relazione a tutti gli elementi di fatto – oggettivi e soggettivi – che connotano l’aggressione, sicché quando l’aggredito, fisicamente e psicologicamente più debole, abbia realmente un solo mezzo a disposizione per difendersi e l’aggressione subita non sia altrimenti arrestabile, l’uso di tale strumento, può risultare non eccessivo, se, usato con modalità diverse, poteva ritenersi adeguato.
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