Con sentenza 13261/2020 la S.C. di Cassazione (scarica qui il testo integrale) ha dichiarato che non è risarcibile nel nostro ordinamento il danno “da perdita della vita” (c.d. danno tanatologico), poiché non è sostenibile che un diritto sorga nello stesso momento in cui si estingua chi dovrebbe esserne titolare.
Pertanto, nel caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni, non può essere invocato un diritto al risarcimento del danno iure hereditatis, ma solo un danno iure proprio dei congiunti per perdita del proprio caro.
La S.C. richiama la pronuncia delle Sezioni Unite n. 15350 del 22/07/2015 (scarica qui la sentenza delle SS.UU.) con cui era stato dichiarato che la negazione di un credito risarcitorio della vittima, trasmissibile agli eredi, per la perdita della vita, seguita immediatamente o a brevissima distanza di tempo dalle lesioni subite, è stata ritenuta contrastante con la coscienza sociale alla quale rimorderebbe che la lesione del diritto primario alla vita fosse priva di conseguenze sul piano civilistico (Cass. n. 1361 del 2014), anche perché, secondo un’autorevole dottrina, se la vita è oggetto di un diritto che appartiene al suo titolare, nel momento in cui viene distrutta, viene in considerazione solo come bene meritevole di tutela nell’interesse dell’intera collettività.
Secondo le Sezioni Unite la morte provoca una perdita, di natura patrimoniale e non patrimoniale, ai congiunti che di tal perdita sono risarciti, mentre non si comprenderebbe la ragione per la quale la coscienza sociale sarebbe soddisfatta solo se tale risarcimento, oltre che ai congiunti (per tali intendendo tutti i soggetti che, secondo gli orientamenti giurisprudenziali attuali, abbiano relazioni di tipo familiare giuridicamente rilevanti, con la vittima) per le perdite proprie, fosse corrisposto anche agli eredi (e in ultima analisi allo Stato).
Come è stato osservato (Cass. n. 6754 del 2011), infatti, pretendere che la tutela risarcitoria “sia data “anche” al defunto corrisponde, a ben vedere, solo al contingente obiettivo di far conseguire più denaro ai congiunti”.
Sotto diverso profilo viene sottolineato anche che, oltre che oggetto di un diritto del titolare, insuscettibile di tutela per il venir meno del soggetto nel momento stesso in cui sorgerebbe il credito risarcitorio, la vita è bene meritevole di tutela nell’interesse della intera collettività, ma tale rilievo giustifica e anzi impone, come è ovvio, che sia prevista la sanzione penale, la cui funzione peculiare è appunto quella di soddisfare esigenze punitive e di prevenzione generale della collettività nel suo complesso, senza escludere il diritto ex art. 185, 2° comma c.p. al risarcimento dei danni in favore dei soggetti direttamente lesi dal reato, ma non impone necessariamente anche il riconoscimento della tutela risarcitoria di un interesse che forse sarebbe più appropriato definire generale o pubblico, piuttosto che collettivo, per l’evidente difficoltà, tutt’ora esistente per quanto riguarda la tutela giurisdizionale amministrativa, di individuare e circoscrivere l’ambito della “collettività” legittimate a invocare la tutela.
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Risarcimento per perdita del nonno non convivente
Non è precluso al nipote la possibilità di dimostrare il vincolo affettivo col nonno non convivente e conseguentemente chiedere il risarcimento del danno subito per la perdita parentale.
Secondo l’ordinanza n. 7743/2020 della S.C. di Cassazione, sezione III civile dell’8.4.2020, “non è condivisibile limitare la ‘società naturale’, cui fa riferimento l’art. 29 Cost., all’ambito ristretto della sola c.d. ‘famiglia nucleare’, e pertanto il rapporto nonni-nipoti non può essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilità per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto (da ultimo, Cass. Sez. 3, n. 29332 del 07/12/2017)”.
La convivenza può facilitare sotto il profilo probatorio la dimostrazione del vincolo particolarmente intenso tra due parenti, ma non è per ciò solo l’unico indice dell’intensità del vincolo affettivo.
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