Danni morali dalla nascita al figlio che cresce senza padre

figlio abbandonato dal padreIl mancato adempimento di un padre, il cui riconoscimento di paternità sia avvenuto giudizialmente, al proprio obbligo di mantenere, istruire ed educare il figlio e il disinteresse mostrato nei confronti di questo, oltre ad integrare una grave violazione dei doveri di cura e assistenza morale, inevitabilmente provoca una grave lesione dei diritti del figlio nascenti dal rapporto di filiazione, e ciò a prescindere dal fatto che solo l’altro genitore lo abbia riconosciuto alla nascita e provveduto in via esclusiva al suo mantenimento, restando fermo comunque il dovere dell’altro genitore, anche per il periodo che precede la sentenza dichiarativa della paternità, di ottemperare ai propri doveri (Cass., sez. 1, 22/11/2013, n. 26205, Cass., sez. 1, 10/04/2012, n. 5652).

L’obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio nasce proprio al momento della sua nascita, anche se la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza, producendo la sentenza dichiarativa della filiazione naturale gli effetti del riconoscimento e comportando per il genitore, ai sensi dell’art. 261 cod. civ., tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ai sensi dell’art. 148 cod. civ.

L’obbligazione trova la sua ragione giustificatrice nello status di genitore, la cui efficacia retroattiva è datata appunto al momento della nascita del figlio, per cui l’obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 cod. civ.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsiasi domanda giudiziale. Con la ulteriore conseguenza che, anche nell’ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, per ciò stesso non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, proprio perché il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato, nei confronti di entrambi i genitori, e sorto fin dalla sua nascita.

E’ quanto statuito dalla sentenza della III sezione civile della S.C. di Cassazione 15148/2022, che, enucleando la nozione di illecito endofamiliare, ritiene che la violazione dei relativi doveri non trovi la sua sanzione, necessariamente e soltanto, nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, ma comporta che la relativa violazione, nell’ipotesi in cui provochi la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell’art. 2059 c.c..

Difatti, omettendo di onorare i propri doveri di genitore, può essere ritenuto sussistente il danno risarcibile in conseguenza della lesione di diritti inviolabili (o fondamentali) della persona, oggetto di tutela costituzionale (artt. 2 e 30 Cost.).

Ai fini della quantificazione del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dal figlio per la totale assenza della figura paterna, i giudici di merito hanno legittimamente fatto ricorso al criterio equitativo per determinarne l’importo, non altrimenti quantificabile nel suo preciso ammontare.

In particolare, il danno subito dal figlio deve essere liquidato in misura proporzionale “alla maggiore incidenza dell’assenza della figura paterna durante il periodo cruciale degli anni di sviluppo e crescita (0-18 anni) e poi in misura decrescente per il periodo successivo, quando ormai la situazione abbandonica può ritenersi, almeno parzialmente, stabilizzata ed ormai, presumibilmente, quasi metabolizzata o in fase di progressiva compensazione”.

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Abbandono del figlio: danni risarcibili

abbandono padre figlioNon adempiere sistematicamente e ripetutamente ai propri obblighi di genitore tramite protratto abbandono e disinteresse nei confronti dei figli, rifiutando contatti con gli stessi, è un illecito a effetti permanenti che produce anche un danno non patrimoniale lato sensu psicologico-esistenziale, ovvero che investe direttamente la progressiva formazione della personalità del danneggiato, condizionando così pure lo sviluppo delle sue capacità di comprensione e di autodifesa.
La Sezione III Civile della S.C. di Cassazione con ordinanza 11097/2020 del 10.6.2020 ha affermato anzitutto che il genus danno endofamiliare, allora, deve anzitutto essere ripartito in due species, cioè:
a) il danno relativo al rapporto di coniugio/unione e
b) il danno relativo al rapporto genitoriale.
Da un altro punto di vista, poi, emerge l’ulteriore distinzione:
1) del danno endofamiliare derivante da condotta permanente,
2) dal danno endofamiliare derivante da condotta istantanea.
Già Cass. sez. 1, 10 aprile 2012 n. 5652 aveva affermato che “La violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole (nella specie il disinteresse mostrato dal padre nei confronti del figlio per lunghi anni) non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; questa, pertanto, può dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ, esercitabile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità” (v. anche Cass. sez. 6-3, 16 febbraio 2015 n. 3079 – “Il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di una figlia naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti da un rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione – oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento – un elevato grado di riconoscimento di tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’art. 2059 c.c., di un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole”).
Tale nozione di illecito endofamiliare, in virtù della quale la violazione dei relativi doveri non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, può integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ex articolo 2059 c.c., di cui deve effettuarsi – ovviamente sulla base della celebre ricostruzione di S.U. 11 novembre 2008 n. 26972 – un’interpretazione costituzionalmente orientata che consente la risarcibilità del pregiudizio di natura non patrimoniale, quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale.
Ed è indubbio come il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, manifestatosi per lunghi anni e connotato, quindi, dalla violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, determini un vulnus, dalle conseguenze di entità rimarchevole ed anche, purtroppo, ineliminabili, a quei diritti che, scaturendo dal rapporto di filiazione, trovano nella carta costituzionale (in part., artt. 2 e 30) e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela.
In tale situazione l’eventuale ritardo dell’azione giudiziale da parte del figlio rispetto al momento in cui sia divenuto maggiorenne non può costituire in alcun modo concorso di colpa o contributo nell’aggravamento del danno.
Infatti, ciò che viene a essere leso è il diritto alla relazione filiale da cui discende “il nucleo costitutivo originario dell’identità personale e relazionale dell’individuo”, e il danno consiste “nelle ripercussioni personali e sociali derivanti dalla consapevolezza di non essere mai stati desiderati ed accolti come figli”.
Pertanto la persona che subisce la violazione di tale diritto entra in una “condizione di sofferenza personale e morale” che imprime “un tracciato di disagio di sofferenza nello sviluppo psicofisico”, per cui, in ultima analisi (e a prescindere, ovviamente, dalla questione della legittimazione ad agire dell’altro genitore quando il danneggiato è minorenne), “la natura del diritto azionato ne rende del tutto giustificabile, in mancanza di limitazioni legali, l’esercizio in una fase di maturità personale compatibile con il coinvolgimento personale ed emotivo ad esso connesso”.
E dunque va escluso il concorso colposo nella produzione del danno in ipotesi di inerzia dei figli in ordine al momento da essi prescelto per l’iniziativa giudiziale, in quanto liberamente e legittimamente determinabile da parte dei titolari del diritto, oltre che del tutto ininfluente rispetto alla configurazione e determinazione del danno non patrimoniale riconosciuto.
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