Responsabilità medica: linee guida e colpa

linee guida e colpa medicaLa S.C. di Cassazione, Sezione IV penale, con sentenza 28314/2020 ha dichiarato che “La verifica del grado della colpa, invero, una volta accertata la violazione delle linee guida adeguate al caso concreto, non rileva sul versante della penale responsabilità, sebbene il relativo scrutinio conservi rilevanza ai fini del trattamento sanzionatorio secondo i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma anche ai fini della determinazione delle conseguenze civilistiche di tipo risarcitorio” (cfr. sul punto specifico, sez. 4 n. 47801 del 05/10/2018, Trupo, in motivazione).

Prosegue la Corte affermando che deve essere considerata la natura delle linee guida, parametri precostituiti ai quali il giudice deve tendenzialmente attenersi nel valutare l’osservanza degli obblighi di diligenza, prudenza e perizia e non veri e propri precetti cautelari vincolanti, capaci di integrare, in caso di violazione rimproverabile, ipotesi di colpa specifica, con conseguente obbligo di discostarsene nel caso in cui esse risultino inadeguate rispetto all’obiettivo della migliore cura per lo specifico caso (cfr. Sez. U. Mariotti e altro cit., Rv. 272176).

Pertanto – secondo la Cassazione – dove venga accertato che le linee guida adeguate al caso concreto siano state nettamente violate dall’agente e che nulla imponeva il discostarsi da tali parametri, la gravità della colpa, può essere direttamente correlata alla chiarezza del parametro violato.

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Presupposti del peculato d’uso

peculato d'usoNon ogni utilizzo di un bene pubblico per finalità privata concretizza il peculato d’uso ai sensi dell’art. 314 c.p.

La S.C. Di Cassazione, Sezione VI penale, con sentenza 28822/2020 ha affermato che “Quanto all’ipotesi di peculato d’uso, deve rilevarsi che il reato va correlato al tipo di utilizzo del mezzo e alla possibilità di individuare nella condotta una appropriazione seppur temporanea del bene, tale da escludere, in parte qua, la sfera di dominio facente capo all’ente proprietario, ciò che peraltro implica un confronto con la fisiologica destinazione del bene e con la funzione di esso”.

Così in una fattispecie in cui l’imputato si era allontanato dall’ufficio per recarsi in un centro commerciale e in una farmacia nonché in un bar-caffetteria e in un negozio di vini, per poi far rientro in ufficio, con conseguente utilizzo improprio ab origine del bene e destinazione funzionale ad un utilizzo privato diversa da quella che avrebbe dovuto avere, è stato affermato:

  1. che il reato è da escludere laddove non venga dimostrato né prospettato che il veicolo fosse stato distolto dall’effettiva finalità di servizio in relazione al mero fatto che il ricorrente si fosse recato al bar o in panetteria o in un centro commerciale (in particolare non è stato dato conto del fatto che il ricorrente non potesse trovarsi di passaggio nei luoghi venuti in rilievo e che dunque corrispondentemente il mezzo fosse stato distolto dal servizio previsto, con aggravio connesso ad un suo improprio utilizzo; ma nel contempo non è stato prospettato, se non in termini meramente astratti, che nelle fasi della permanenza del ricorrente negli esercizi commerciali indicati, il veicolo fosse destinato a diverso servizio con conseguente aggravio sul piano funzionale);
  2. che ai fini della configurabilità del reato occorre verificare che la condotta abbia prodotto un danno apprezzabile al patrimonio della P.A. o di terzi o una lesione concreta alla funzionalità dell’ufficio (Sez. U. n. 19054 del 20/12/2012, Vattani, Rv. 255296),

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Danno terminale e lucida agonia

morte danno terminaleLa S.C. di Cassazione con ordinanza n. 21508 del 6 ottobre 2020 ha dichiarato che in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo (Cass., Sez. Un., 22/07/2015, n. 15350).

Viceversa, nel caso in cui tra la lesione e la morte si interponga un apprezzabile lasso di tempo, tale periodo giustifica il riconoscimento, in favore del danneggiato, del cosiddetto danno biologico terminale, cioè il danno biologico stricto sensu (ovvero danno a bene salute), al quale, nell’unitarietà del genus del danno non patrimoniale, può aggiungersi un danno peculiare improntato alla fattispecie “danno morale-terminale”, ovvero il danno da percezione, concretizzabile sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni, sia nella sofferenza psicologica (agonia) derivante dall’avvertita imminenza dell’exitus, se nel tempo che si dispiega tra la lesione ed il decesso la persona si trovi in una condizione di “lucidità agonica”, in quanto in grado di percepire la sua situazione e in particolare l’imminenza della morte, essendo quindi irrilevante, a fini risarcitori, il lasso di tempo intercorso tra la lesione personale e il decesso nel caso in cui la persona sia rimasta “manifestamente lucida”.

In ogni caso, rimane esclusa l’indennizzabilità ex se del danno non patrimoniale da perdita della vita; e tale esclusione non vale a contraddire il riconoscimento del “diritto alla vita” di cui all’art. 2 CEDU, atteso che tale norma (pur di carattere generale e diretta a tutelare ogni possibile componente del bene-vita) non detta specifiche prescrizioni sull’ambito e i modi in cui tale tutela debba esplicarsi, né, in caso di decesso immediatamente conseguente a lesioni derivanti da fatto illecito, impone necessariamente l’attribuzione della tutela risarcitoria, il cui riconoscimento in numerosi interventi normativi ha comunque carattere di specialità e tassatività ed è inidoneo a modificare il vigente sistema della responsabilità civile, improntato al concetto di perdita-conseguenza e non sull’evento lesivo in sé considerato: così in motivazione Cass. 11/11/2019, n. 28989.

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Contestazione dell’agente fuori servizio

polizia fuori servizioUn agente di Polizia, libero dal servizio ma in divisa, a bordo di autovettura civile, può affiancare una vettura, intimarne l’ALT e contestare al guidatore delle violazioni del codice della strada.

La Corte di Cassazione sezione II civile con ordinanza 20529/2020 ha stabilito che ciò non costituisce violazione o falsa applicazione dell’art. 24 del Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada.

Tale norma dispone: «Gli organi di polizia stradale in uniforme possono intimare l’ALT, oltre che con il distintivo, anche facendo uso di fischietto o con segnale manuale o luminoso».

L’articolo, nel consentire agli agenti di polizia stradale in uniforme di intimare l’ALT manuale, si riferisce a fattispecie nella quali la divisa e il distintivo siano chiaramente percepibili dal soggetto destinatario dell’ordine.

La S.C. nell’affermare la legittimità della contestazione da parte dell’agente fuori servizio, precisa altresì che:

  1. l’operazione di accertamento delle infrazioni stradali si dipana in tre momenti, cioè contestazione, verbalizzazione, consegna della copia del verbale;
  2. la contestazione deve essere immediata, per l’effetto ogni qualvolta sia possibile, essa non può essere omessa, a pena d’illegittimità dei successivi atti dello stesso procedimento;
  3. l’art. 201 C.d.S. contempla l’eventualità che l’immediata contestazione dell’infrazione non risulti in concreto possibile e statuisce che, in tale ipotesi, il verbale debba essere notificato al trasgressore con l’indicazione della circostanza impeditiva;
  4. la “verbalizzazione” è operazione distinta e successiva, rispetto alla già “avvenuta” contestazione;
  5. il c. 3 dell’art. 200 C.d.S. statuisce che copia del verbale deve essere consegnata al trasgressore;
  6. la contestazione deve ritenersi immediatamente avvenuta, pur se la consegna del verbale (per validi motivi) non segua nel medesimo contesto di tempo, se il contravventore sia stato fermato ed il pubblico ufficiale gli abbia indicato la violazione commessa e lo abbia posto in grado di formulare le proprie osservazioni (Cass. 14668/2008).

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Violenza sessuale e abuso di autorità

Violenza sessuale e abuso di autoritàL’art. 609 bis c.p. prevede che “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni.

Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:

  1. abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
  2. traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona”.

Le Sezioni Unite Penali della S.C. di Cassazione con sentenza 27326/2020 del 1.10.2020 hanno affermato che l’abuso di autorità cui si riferisce l’art. 609-bis, co. 1 c.p. presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali.

In sostanza le Sezioni Unite hanno ritenuto condivisibile la più ampia accezione del concetto di abuso di autorità.

Come anche osservato in dottrina, la condizione in cui versa la persona offesa nei casi di abuso di autorità e una condizione di sudditanza materiale o psicologica ma non psichica e, quindi, di origine patologica in senso stretto.

Mentre la minaccia determina un’efficacia intimidatoria diretta sul soggetto passivo, costretto a compiere o subire l’atto sessuale, la coartazione che consegue all’abuso di autorità trae origine dal particolare contesto relazionale di soggezione tra autore e vittima del reato determinate dal ruolo autoritativo del primo, creando le condizioni per cui alla seconda non residuano valide alternative di scelta rispetto al compimento o all’accettazione dell’atto sessuale che, consegue, dunque, alla strumentalizzazione di una posizione di supremazia.

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