È necessaria l’indicazione espressa del nome di una persona per integrarsi reato di diffamazione ai suoi danni?
La S.C. di Cassazione con sentenza 14345/2024 ha risolto la questione invocando il principio della individuabilità della persona offesa.
È stato infatti affermato che “essendo il reato di diffamazione configurabile in presenza di un’offesa alla reputazione di una persona determinata, esso può ritenersi sussistente nel caso in cui vengano pronunciate o scritte espressioni offensive riferite a soggetti individuati o individuabili (cfr. Sez. 5, n. 3809 del 28.11.2017, Rv. 272320) Pertanto, qualora l’espressione lesiva dell’altrui reputazione sia riferibile, ancorché in assenza di indicazioni nominative, ad un novero di più persone, individuabili e individuate sulla base di indici rivelatori, ciascuna di esse può ragionevolmente sentirsi destinataria di detta espressione, con conseguente configurabilità del reato “de quo” (cfr. Sez. 5, n. 18249 del 28.3.2008, Rv. 239831)”.
Nel caso di specie proprio in ragione del contenuto dei “post” inviati sul profilo “Facebook”, corredati dalle fotografie raffiguranti la persona offesa, quest’ultima era certamente individuabile, come dimostrato dalla circostanza obiettiva, che i testi lo avevano subito riconosciuto, aprendo la pagina Facebook, accessibile a terzi, provvedendo poi a informarlo.
Risulta pertanto confermato il principio già enunciato in giurisprudenza secondo cui, per la sussistenza del reato di diffamazione commesso attraverso una social network, occorre che la vittima delle espressioni offensive sia individuata o individuabile, non essendo richiesta necessariamente l’indicazione del nome di quest’ultima.
Scarica qui la sentenza citata e la nostra newsletter sul punto.