L’art. 408 c.p. prevede “Chiunque, in cimiteri o in altri luoghi di sepoltura, commette vilipendio di tombe, sepolcri o urne, o di cose destinate al culto dei defunti, ovvero a difesa o ad ornamento dei cimiteri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.
Ai fini della configurazione del reato non è necessaria né la violenza, né un movente specifico.
Il vilipendio si configura semplicemente perché si viola il sentimento di pietas che la collettività nutre nei confronti dei defunti e che è la ragione per la quale si adornano le tombe con fiori e simboli religiosi.
Con sentenza 43093/2021, la Suprema Corte di Cassazione sottolinea in particolare che oggetto di tutela è la pietas dei defunti, ossia il sentimento individuale e collettivo che si manifesta con il rispetto non necessariamente religioso, verso i defunti e le cose che sono destinate al loro culto nei cimiteri e nei luoghi di sepoltura.
L’elemento oggettivo del reato consiste pertanto in un’azione, definita “vilipendio” che comprende ogni atto da cui si evince disprezzo delle cose appunto usate per il culto dei morti, come croci immagini, fiori e lampade, così come cose destinate all’ornamento o difesa dei cimiteri. Il delitto quindi è previsto per tutelare il rispetto per il luogo di sepoltura, non solo e non tanto il defunto in sé.
Devono quindi considerarsi atti di vilipendio, i gesti commessi nei confronti delle cose poste nei luoghi di sepoltura, danneggiandole, imprimendovi segni grafici, rimuovendole in tutto o in parte o sostituendole con altre, senza che rilevi la volontà di recare offesa: “rientrano dunque certamente nell’ambito di operatività della fattispecie atti di vilipendio commessi su cose deposte nei luoghi destinati a dimora delle persone decedute ed aventi la funzione di richiamare e ricordare la pietà dei defunti, danneggiandole, lordandole o imprimendovi segni grafici vilipendiosi, o anche rimuovendole in tutto o in parte ed eventualmente sostituendole con altre diverse per significato, origine e rilevanza sociale, anche se la condotta sia avvenuta non per arrecare offesa al defunto, ma alla persona che aveva fatto sistemare la tomba per onorarlo e ricordarlo (Sez. 3 n. 4038, del 29/03/1985, Moraschi, Rv. 168901). In particolare, la condotta penalmente rilevante – che non deve necessariamente essere commessa pubblicamente, o alla presenza dei proprietari delle tombe o dei familiari dei defunti – va sempre valutata con riferimento al bene giuridico tutelato dalla norma quale più sopra individuato, che può ricevere oltraggio ed offesa attraverso gesti o espressioni che, diretti immediatamente contro oggetti cimiteriali, producono mediatamente la lesione del senso di pietà ispirato dal ricordo dell’estinto”.
E non rilevano l’eventuale calma o assenza di violenza della condotta in ragione dell’irrilevanza del movente dell’azione.