L’art. 609 bis c.p. prevede che “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
- abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
- traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona”.
Le Sezioni Unite Penali della S.C. di Cassazione con sentenza 27326/2020 del 1.10.2020 hanno affermato che l’abuso di autorità cui si riferisce l’art. 609-bis, co. 1 c.p. presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali.
In sostanza le Sezioni Unite hanno ritenuto condivisibile la più ampia accezione del concetto di abuso di autorità.
Come anche osservato in dottrina, la condizione in cui versa la persona offesa nei casi di abuso di autorità e una condizione di sudditanza materiale o psicologica ma non psichica e, quindi, di origine patologica in senso stretto.
Mentre la minaccia determina un’efficacia intimidatoria diretta sul soggetto passivo, costretto a compiere o subire l’atto sessuale, la coartazione che consegue all’abuso di autorità trae origine dal particolare contesto relazionale di soggezione tra autore e vittima del reato determinate dal ruolo autoritativo del primo, creando le condizioni per cui alla seconda non residuano valide alternative di scelta rispetto al compimento o all’accettazione dell’atto sessuale che, consegue, dunque, alla strumentalizzazione di una posizione di supremazia.
Scarica qui la sentenza integrale delle Sezioni Unite.