Guida in stato di ebbrezza: no alla riduzione della sospensione della patente per i casi lievi

guida in stato di ebbrezzaLa Corte Costituzionale con sentenza n. 62 dell’8.4.2021 ha dichiarato che non è possibile estendere il beneficio della riduzione alla metà della sanzione a seguito del positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, previsto per i casi più gravi di guida in stati ebbrezza (lettere b) e c) dell’art. 186 co. 2 C.d.S.), alle ipotesi più lievi (lettera a) del medesimo articolo).

La questione di legittimità costituzionale riguardava l’art. 186 co. 9bis del Codice della Strada, nella parte in cui non prevede un istituto o una prestazione che consenta alle persone incorse nella violazione dell’art. 186, comma 2, lett. a), C.d.S., di beneficiare della riduzione alla metà della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida, parimenti a quanto previsto per le ipotesi di cui alle successive lettere b) e c) dello stesso comma, per contrasto con l’art. 3 Cost., e con l’art. 29, co. 2, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948.

Sostanzialmente era stata sollevata l’incongruenza tra la posizione finale del trasgressore della fattispecie di cui all’art. 186, comma 2, lett. a), sanzionato in ogni caso con la sospensione della patente di guida da tre a sei mesi, e la posizione finale del trasgressore della più grave fattispecie punita dalla lett. b), come risultante dall’esito del positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità che comporta, beneficiando della riduzione alla metà, una identica misura minima di tre mesi di sospensione della patente.

La Consulta ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sul presupposto che la possibilità di sostituzione della pena è prevista solo per le fattispecie aventi rilevanza penali (e dunque le lettere b) e c) dell’art. 186 co. 2 C.d.S.) e non già per le violazioni amministrative come l’ipotesi di cui all’art. 186 co. 2 lett. a) C.d.S.

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Legittima la sospensione della prescrizione penale causa Covid-19

corte costituzionale 278 2020La Corte Costituzionale con sentenza n. 278/2020 depositata il 23.12.2020 ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Roma, Siena e Spoleto in merito alla sospensione della prescrizione introdotta dell’art. 83 comma 4 d.l. n. 18/2020, nella parte in cui prevede che lo stabilito periodo di sospensione della prescrizione debba applicarsi anche ai fatti di reato commessi anteriormente alla sua entrata in vigore.

Secondo la Consulta, la sospensione della prescrizione disposta dai decreti legge n. 18 e n. 23 del 2020, emanati per contrastare l’emergenza COVID-19, non è costituzionalmente illegittima in quanto è ancorata alla sospensione dei processi dal 9 marzo all’11 maggio 2020, prevista per fronteggiare l’emergenza sanitaria. La cosiddetta “sospensione COVID” rientra infatti nella causa generale di sospensione della prescrizione stabilita dall’articolo 159 del Codice penale – che prevede, appunto, che il corso della prescrizione rimanga sospeso ogniqualvolta la sospensione del procedimento o del processo penale sia imposta da una particolare disposizione di legge – e quindi non contrasta con il principio costituzionale di irretroattività della legge penale più sfavorevole.

È uno dei passaggi della sentenza n. 278 depositata oggi (redattore Giovanni Amoroso), con cui la Corte costituzionale – come già anticipato nel comunicato stampa del 18 novembre scorso – ha dichiarato in parte non fondate e in parte inammissibili le questioni sollevate dai Tribunali di Siena, di Spoleto e di Roma sull’applicabilità della sospensione della prescrizione anche ai processi per reati commessi prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, per il periodo 9 marzo -11 maggio 2020.

In particolare, il Giudice delle leggi ha dichiarato la non fondatezza delle questioni con riferimento al principio di legalità sancito dall’articolo 25 della Costituzione, mentre è stata dichiarata l’inammissibilità con riferimento ai parametri europei richiamati dall’articolo 117, primo comma, della Costituzione.

Il principio di legalità – ha precisato la Corte – richiede che l’autore del reato non solo debba essere posto in grado di conoscere in anticipo quale sia la condotta penalmente sanzionata e la pena irrogabile, ma, si legge in un passaggio della sentenza, “deve avere anche previa consapevolezza della disciplina concernente la dimensione temporale in cui sarà possibile l’accertamento del processo, con carattere di definitività, della sua responsabilità penale (ossia la durata del tempo di prescrizione) anche se ciò non comporta la precisa determinazione del dies ad quem in cui maturerà la prescrizione”.

In tema di sospensione della prescrizione, l’articolo 159 del Codice penale “ha una funzione di cerniera”, spiega la sentenza, perché contiene, da un lato, “una causa generale di sospensione” che scatta quando la sospensione del procedimento o del processo è imposta da una particolare disposizione di legge, e, dall’altro lato, un elenco di casi particolari.

Nelle vicende da cui sono nate le questioni portate all’esame della Corte, opera proprio tale causa generale di sospensione.

La temporanea stasi ex lege del procedimento o del processo determina, in via generale, una parentesi del decorso del tempo della prescrizione, le cui conseguenze investono tutte le parti: la pubblica accusa, la persona offesa costituita parte civile e l’imputato. Così come l’azione penale e la pretesa risarcitoria hanno un temporaneo arresto, per tutelare l’equilibrio dei valori in gioco è sospeso anche il termine per l’indagato o per l’imputato.

La Corte, nel ricondurre la nuova causa di sospensione del processo alla causa generale prevista dall’art. 159 del Codice penale – come tale applicabile anche a condotte pregresse – ha poi precisato che essa non può decorrere da una data anteriore alla legge che la prevede.

Nella sentenza si legge, infine, che la breve durata della sospensione dei processi, e quindi del decorso della prescrizione, è pienamente compatibile con il canone della ragionevole durata del processo. Inoltre, sul piano della ragionevolezza e della proporzionalità, la norma è giustificata dalla tutela del bene della salute collettiva per contenere il rischio di contagio da COVID-19 in un momento di eccezionale emergenza sanitaria.

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Fallimento e appalto di opera pubblica

fallimento appalti pubbliciLa Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, con sentenza 02 marzo 2020, n. 5685 ha dichiarato che l’art. 118, comma 3 del D.Lgs. n. 163 del 2006 (il precedente codice appalti oggi sostituito dal Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50) che consentiva alla stazione appaltante di sospendere i pagamenti in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti effettuati da quest’ultimo al subappaltatore doveva ritenersi riferito solo agli appalti in corso con impresa in bonis.
Al contrario, in caso di fallimento dell’appaltatore di opera pubblica, il contratto di appalto si scioglie con la conseguenza che il Curatore, per conto della massa concorsuale può chiedere alla stazione appaltante il corrispettivo delle prestazioni eseguite fino all’intervenuto scioglimento del contratto.
Il subappaltatore invece deve essere considerato un creditore concorsuale dell’appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della par condicio creditorum e dell’ordine delle cause di prelazione
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Incostituzionale l’applicazione automatica della sospensione della responsabilità genitoriale

sottrazione minore sospensione potestàLa Corte Costituzionale con sentenza n. 102 depositata il 29.5.2020 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 3 dell’art. 574bis del codice penale nella parte in cui prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero comporti necessariamente l’applicazione della pena accessoria della sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporre o meno la sospensione medesima.
La pronuncia si innesta nel solco di altre sentenze della Consulta che hanno dichiarato illegittimi i c.d. automatismi sanzionatori e che hanno dunque stabilito la discrezionalità, e non l’obbligo, per il Giudice di applicare pene accessorie, privilegiando l’apprezzamento del caso concreto.
Ora la pena accessoria dovrà essere applicata dal Giudice mediante l’utilizzo del criterio esclusivo del preminente interesse del minore (ossia valutando se la sospensione della responsabilità genitoriale del responsabile del reato appaia necessaria o utile in chiave di tutela del minore stesso).
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