L’art. 26 del DPR 448/1988 dispone che “In ogni stato e grado del procedimento il giudice, quando accerta che l’imputato è minore degli anni quattordici, pronuncia, anche di ufficio, sentenza di non luogo a procedere trattandosi di persona non imputabile”.
Tale norma processuale è strettamente collegata all’art. 97 c.p. che, sancisce una presunzione assoluta di incapacità di intendere e di volere nei confronti del minore che non abbia compiuto quattordici anni al momento del fatto.
Tale norma, pur dettata dal necessario favore nei confronti del minore, al fine di evitare la permanenza dell’infraquattordicenne nel procedimento penale, ha tuttavia alcune conseguenze negative, ossia:
1) da una parte l’iscrizione del relativo provvedimento nel casellario giudiziale, fino al compimento della maggiore età,
2) la possibile adozione di una misura di sicurezza personale, anche in via provvisoria.
Può essere pertanto interesse del minore poter dedurre la propria estraneità alla commissione del reato.
Sulla base di quanto sopra, la S.C. di Cassazione con sentenza 11541/2020 del 7.4.2020 ha dichiarato che, nell’ambito del procedimento penale minorile la sentenza di non luogo a procedere per difetto d’imputabilità del minore infraquattordicenne, non può essere emessa de plano ma deve essere preceduta dalla celebrazione dell’udienza preliminare, al fine di assicurare il diritto di difesa e il principio del contraddittorio.
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Categoria: Diritto penale
save the date: 2 luglio 2020 ore 18.00 webinar RISCHI E RESPONSABILITÀ NELL’ERA COVID-19
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Webinar gratuito
RISCHI E RESPONSABILITÀ NELL’ERA COVID-19
2 luglio 2020 ore 18.00
Nuove e vecchie responsabilità per gli amministratori e i datori di lavoro e idonee coperture assicurative
L’emergenza Covid-19 ci ha fatto riflettere sulle responsabilità (vecchie e nuove) degli amministratori di società, dei datori di lavoro e degli imprenditori in genere.
Trattasi di responsabilità di natura civile, penale e amministrativa.
Accanto a una buona assistenza legale esistono coperture assicurative idonee per questo tipo di rischi.
Si pensi ai rischi derivanti dagli adempimenti in tema di sicurezza sul lavoro di cui al d. lgs. 81/2008, alla responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/2001, alle responsabilità connesse al trattamento dei dati personali, agli adempimenti imposti dal T.U. dell’Ambiente. Ma non sono da meno anche le responsabilità connesse all’igiene degli alimenti (HACCP), all’antiriciclaggio, alle violazioni tributarie.
Si passeranno in rassegna alcuni profili di responsabilità gestoria e la loro possibile copertura con idonei prodotti assicurativi.
I relatori
Avv. Roberto Redaelli – avvocato in Milano – Arclex Avvocati Associati
Avv Alberto Carmeli – avvocato in Milano – Arclex Avvocati Associati
Avv. Alessandro Cremonesi – avvocato in Milano – Arclex Avvocati Associati
Dott. Andrea Recanati – Agente Assicurativo – Agenzia Futura S.r.l.
I temi trattati
Avv. Roberto Redaelli –responsabilità penali e responsabilità degli enti ex d.lgs 231/2001
Avv Alberto Carmeli – le responsabilità del datore di lavoro in ambito giuslavoristico
Avv. Alessandro Cremonesi – le responsabilità degli amministratori in ambito civilistico
Dott. Andrea Recanati – i rischi assicurabili, i tipi di polizze e la copertura della tutela legale
Il webinar si terrà online tramite la piattaforma Zoom. Prima dell’incontro, a tutti gli iscritti al webinar verrà inviata una email con il link per effettuare il collegamento.
Alla fine dell’incontro ci sarà una sessione Q&A (domande e risposte) che i partecipanti potranno sottoporre ai relatori.
Fruizione abusiva della legge 104
Assistenza a una madre disabile non significa permanenza continua nella abitazione della stessa.
Secondo la Cassazione tale assistenza si può estrinsecare anche con altre attività (ad es. commissioni al di fuori dell’abitazione) sempre che vi sia un nesso con la finalità di ausilio al disabile.
Infatti, in una fattispecie ove veniva contestato a una lavoratrice di aver fruito abusivamente dei permessi previsti dall’art. 33, co. 3, della legge n. 104/92 per non aver prestato effettiva assistenza alla madre disabile durante il periodo di fruizione dei permessi, la Corte di Cassazione, sezione Lavoro con sentenza 12032/2020 del 19.6.2020 ha affermato che l’assistenza che legittima il beneficio in favore del lavoratore, pur non potendo intendersi esclusiva al punto da impedire a chi la offre di dedicare spazi temporali adeguati alle personali esigenze di vita, deve comunque garantire al familiare disabile in situazione di gravità di cui all’art. 3, comma 3, della I. n. 104 del 1992 un intervento assistenziale di carattere permanente, continuativo e globale (Cass. n. 19580/2019 cit.).
La Corte ha ricordato che per affermare l’abuso dei permessi ex lege 104/1992 è necessaria la prova diretta o indiretta dell’assenza di assistenza e/o dello svolgimento da parte del lavoratore in permesso di attività incompatibili con la prestazione della stessa (Cfr. fra le più recenti, Cass. n. 19850 del 2019, ma, negli stessi termini, Cass. n.4984/2014, Cass. n. 8784/2015; Cass. n. 5574/2016, Cass. n. 5574/2016; Cass. n. 9217/2016, cui si possono aggiungere, fra le altre, Cass. n. 17968/2016).
Pertanto soltanto ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo che genera la responsabilità del dipendente (ancora Cass. n. 19580/2019 cit.).
La Corte, ribadendo che i permessi vengano fruiti in coerenza con la loro funzione ed in presenza di un nesso causale con l’attività di assistenza, ha escluso il difetto di buona fede ed il disvalore sociale connesso all’abusivo esercizio del permesso poiché l’atteggiamento della lavoratrice non è stato quello di profittare del permesso per attendere ad attività di proprio esclusivo interesse.
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Diffamazione e provocazione
Ai sensi dell’art. 599 c.p. (“Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dall’art. 595 nello stato d’ira deterninato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso”) la provocazione può rendere non punibile il reato di diffamazione.
Tale principio è stato applicato dalla VI sezione penale della S.C. di Cassazione con sentenza 17958/2020 del 11.6.2020 anche in una fattispecie in cui veniva intimato a un avvocato il pagamento in favore di una lavanderia, contestandogli altresì di aver in precedenza lanciato al volto della titolare della lavanderia, per tacitarne le pretese, una banconota da 500 euro all’interno di un locale pubblico.
Il diffidato rispondeva “su quanto riferitole, v’è ben poco da replicare se non che tali vaneggiamenti si attagliano appieno alla veste lavorativa della Sua assistita”.
I giudici di merito hanno riconosciuto la valenza diffamatoria di tale affermazione, ma hanno ritenuto che il fatto fosse stato commesso nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso (il fatto ingiusto era costituito dalla falsa affermazione del lancio delle banconota, posto che questa accusa veniva giudicata non veritiera, in quanto testimoni confermavano come fosse stata la titolare della lavanderia a lanciare la banconota e non viceversa).
Secondo la S.C. tale decisione è corretta poiché la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione, occorrono:
a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”;
b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale;
c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta» (cfr. da ultimo Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019, Leccisi, Rv. 275894).
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Abbandono del figlio: danni risarcibili
Non adempiere sistematicamente e ripetutamente ai propri obblighi di genitore tramite protratto abbandono e disinteresse nei confronti dei figli, rifiutando contatti con gli stessi, è un illecito a effetti permanenti che produce anche un danno non patrimoniale lato sensu psicologico-esistenziale, ovvero che investe direttamente la progressiva formazione della personalità del danneggiato, condizionando così pure lo sviluppo delle sue capacità di comprensione e di autodifesa.
La Sezione III Civile della S.C. di Cassazione con ordinanza 11097/2020 del 10.6.2020 ha affermato anzitutto che il genus danno endofamiliare, allora, deve anzitutto essere ripartito in due species, cioè:
a) il danno relativo al rapporto di coniugio/unione e
b) il danno relativo al rapporto genitoriale.
Da un altro punto di vista, poi, emerge l’ulteriore distinzione:
1) del danno endofamiliare derivante da condotta permanente,
2) dal danno endofamiliare derivante da condotta istantanea.
Già Cass. sez. 1, 10 aprile 2012 n. 5652 aveva affermato che “La violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole (nella specie il disinteresse mostrato dal padre nei confronti del figlio per lunghi anni) non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti; questa, pertanto, può dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ, esercitabile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità” (v. anche Cass. sez. 6-3, 16 febbraio 2015 n. 3079 – “Il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di una figlia naturale integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti da un rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione – oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento – un elevato grado di riconoscimento di tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell’illecito civile e legittima l’esercizio, ai sensi dell’art. 2059 c.c., di un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali sofferti dalla prole”).
Tale nozione di illecito endofamiliare, in virtù della quale la violazione dei relativi doveri non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, può integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ex articolo 2059 c.c., di cui deve effettuarsi – ovviamente sulla base della celebre ricostruzione di S.U. 11 novembre 2008 n. 26972 – un’interpretazione costituzionalmente orientata che consente la risarcibilità del pregiudizio di natura non patrimoniale, quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale.
Ed è indubbio come il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, manifestatosi per lunghi anni e connotato, quindi, dalla violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, determini un vulnus, dalle conseguenze di entità rimarchevole ed anche, purtroppo, ineliminabili, a quei diritti che, scaturendo dal rapporto di filiazione, trovano nella carta costituzionale (in part., artt. 2 e 30) e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela.
In tale situazione l’eventuale ritardo dell’azione giudiziale da parte del figlio rispetto al momento in cui sia divenuto maggiorenne non può costituire in alcun modo concorso di colpa o contributo nell’aggravamento del danno.
Infatti, ciò che viene a essere leso è il diritto alla relazione filiale da cui discende “il nucleo costitutivo originario dell’identità personale e relazionale dell’individuo”, e il danno consiste “nelle ripercussioni personali e sociali derivanti dalla consapevolezza di non essere mai stati desiderati ed accolti come figli”.
Pertanto la persona che subisce la violazione di tale diritto entra in una “condizione di sofferenza personale e morale” che imprime “un tracciato di disagio di sofferenza nello sviluppo psicofisico”, per cui, in ultima analisi (e a prescindere, ovviamente, dalla questione della legittimazione ad agire dell’altro genitore quando il danneggiato è minorenne), “la natura del diritto azionato ne rende del tutto giustificabile, in mancanza di limitazioni legali, l’esercizio in una fase di maturità personale compatibile con il coinvolgimento personale ed emotivo ad esso connesso”.
E dunque va escluso il concorso colposo nella produzione del danno in ipotesi di inerzia dei figli in ordine al momento da essi prescelto per l’iniziativa giudiziale, in quanto liberamente e legittimamente determinabile da parte dei titolari del diritto, oltre che del tutto ininfluente rispetto alla configurazione e determinazione del danno non patrimoniale riconosciuto.
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