Testamento olografo scritto in stampatello

testamento stampatelloLa Corte di Cassazione, sezione II civile, con sentenza 42124/2021 tratta la questione della validità di un testamento olografo vergato in stampatello dal de cuius.

Era stato infatti eccepito dai ricorrenti che il requisito dell’autografia, richiesto dalla legge per il testamento olografo, non sarebbe compatibile con l’uso dello stampatello.

La S.C. ricordando che una parte della dottrina ammette con larghezza la validità del testamento scritto con caratteri in stampatello purché la scrittura sia riferibile al testatore, escludendo il solo caso in cui vi sia una imitazione schematica dello stampato, ha invocato quindi la validità formale del testamento olografo non solo quando risulti che il testatore usasse scrivere in stampatello, ma anche nel caso in cui il testatore non abbia mai fatto uso di quel particolare carattere, argomentando dall’art. 602 c.c., che non pone fra i requisiti necessari l’abitualità della scrittura, limitandosi ad indicare la sola autografia.

Tale tesi è stata fatta propria dalla giurisprudenza della Corte, la quale ha riconosciuto la validità del testamento olografo scritto in stampatello (Cass. n. 31457/2018). È stato rilevato che sussiste in tal caso il requisito dell’autografia e pertanto il testamento non può essere considerato affetto da nullità adducendo difficoltà della prova della sua autenticità. Il livello di attendibilità raggiunto dalle attuali perizia calligrafiche consente, con buon grado di precisione, di attribuire la paternità dello scritto, anche in caso di utilizzo dello stampatello.

E’ valido quindi il testamento olografo quando lo stampatello presenti caratteristiche “individualizzanti” che consentano, in termini di elevata probabilità, di riconoscere l’autenticità del documento.

In alcuni casi l’uso dello stampatello, se utilizzato abitualmente in vita dal testatore, non pone un problema di validità, ma costituisce addirittura prova della provenienza.

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Dichiarazione di convivenza via pec tramite avvocato

convivenza di fattoL’Ordine degli Avvocati di Milano ha raggiunto un accordo con il Comune di Milano secondo il quale gli avvocati possono inviare a mezzo PEC ServiziAlCittadino@postacert.comune.milano.it (indicando nell’oggetto la sigla “CdF”) la Dichiarazione di Costituzione di convivenza unitamente ai documenti di identità e codice fiscale sottoscritti dalle Parti, tutto in formato pdf.

Il modello della dichiarazione è reperibile al link: https://www.comune.milano.it/documents/20126/466761/Dichiarazione+Convivenza+di+fatto.pdf/02895f02-12e1-729a-61fe-adf553fa77df?t=1545235191552

Con la medesima comunicazione PEC l’Avvocato potrà anche depositare il Contratto di Convivenza autenticato dal professionista stesso (aggiungendo nell’oggetto della PEC la sigla “Contratto CdF”), tutto in formato pdf.

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Cesti natalizi a pubblici ufficiali: è corruzione?

cesto natalizio corruzioneLa sentenza 47216/2021 del 17.11.2021 della VI Sezione Penale della Cassazione ha valutato se debba considerarsi ipotesi corruttiva la condotta costituita dal regalare cesti natalizi a pubblici ufficiali (nel caso specifico, Carabinieri).

La S.C. ha concluso che tale reato debba escludersi in presenza di un regalo di modico valore, perché incapace di sviare dalla funzione pubblica.

In particolare è stato precisato che l’attuale art. 318 cod. pen., per mezzo del sintagma «per l’esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri», punisce non solo le condotte già ricomprese nel precedente testo, ma anche tutti i casi in cui l’indebita dazione o la sua promessa risultino teleologicamente rivolti all’esercizio della funzione o del potere da parte dell’intraneus (Sez. 6, n. 19189 del 11/01/2013, Abbruzzese, Rv. 255073), indipendentemente dal compimento di singoli atti dell’ufficio.

Come è stato osservato dalla dottrina, la preposizione «per» viene ad indicare non solo «la finalità» in vista della quale la remunerazione è effettuata o promessa, ma anche la «causa» dell’indebita dazione di denaro o altra utilità o la sua promessa, costituita dall’esercizio della funzione o del potere da parte dell’agente pubblico.

Pertanto non può costituire reato la condotta di chi regali cesti natalizi senza che sia dimostrato se tale condotta incida sulle funzioni esercitate o da esercitarsi a cura dei pubblici ufficiali.

E sul punto non è sufficiente effettuare un semplice ipotetico e probabilistico riferimento a future (possibili) attività giudiziarie (ad es. assunzione del ruolo di testimoni nel processo da parte dei militari o prosecuzione delle indagini), dovendosi viceversa dimostrare se effettivamente la consegna dei doni possa compromettere, o a qualsiasi titolo incidere, sulla funzione esercitata o da esercitare da parte dei pubblici ufficiali.

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Tempo di notte e minorata difesa

notte minorata difesaCon sentenza 40275/2021 depositata in data 8.11.2021 le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno chiarito i principi di applicazione dell’aggravante della minorata difesa per i reati commessi in tempo di notte.

In particolare è stato affermato che:

  • ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante della c.d. “minorata difesa”, prevista dall’art. 61, primo comma, n.5, cod. pen., le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l’agente ha profittato in modo tale da ostacolare la predetta difesa, devono essere accertate alla stregua di concreti e concludenti elementi di fatto atti a dimostrare la particolare situazione di vulnerabilità – oggetto di profittamento – in cui versava il soggetto passivo, essendo necessaria, ma non sufficiente, l’idoneità astratta delle predette condizioni a favorire la commissione del reato;
  • la commissione del reato “in tempo di notte” può configurare la circostanza aggravante in esame, sempre che sia raggiunta la prova che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto.

L’onere della prova della sussistenza in concreto delle ordinarie connotazioni del tempo di notte e dell’assenza di circostanze ulteriori, atte a vanificare l’effetto di ostacolo alla pubblica e privata difesa ricollegabile all’avere agito in tempo di notte, grava naturalmente sul Pubblico Ministero.

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Molestie tramite whatsapp

Molestie tramite whatsappL’art. 660 c.p., in tema di molestie, punisce con la pena dell’arresto fino a 6 mesi o con l’ammenda fino a euro 516 “chiunque in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo“.

L’elemento oggettivo del reato consiste in qualsiasi condotta oggettivamente idonea a molestare e a disturbare terze persone, interferendo nell’altrui vita privata e nell’altrui vita relazionale.

Con “petulanza” si intende un “atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nell’altrui sfera di libertà, con la conseguenza che la pluralità di azioni di disturbo integra l’elemento materiale costitutivo del reato e non è, quindi, riconducibile all’ipotesi del reato continuato” (così Cass. Pen. n. 6908/2011).

La recente sentenza 37974/2021 della Sezione I Penale della S.C. prende in esame la questione:

  • se una molestia posta in essere con la messaggistica istantanea (sms o whatsapp) debba considerarsi molestia “col mezzo del telefono”;
  • se l’invasività delle molestie debba essere esclusa dalla facoltà del destinatario di bloccare i messaggi del mittente.

Sotto il primo profilo la S.C. ha dichiarato che il riferimento al “mezzo telefonico” presente nella norma include anche gli sms inviati con telefoni fissi e mobili, nonché altri analoghi mezzi di comunicazione, ivi compresi i nuovi strumenti di messaggistica istantanea.

E’ pertanto evidente che l’invio di messaggi tramite WhatsApp possa integrare il reato di molestie alla pari di una telefonata, in quanto il riferimento normativo a quest’ultima va adattato alle nuove piattaforme di uso quotidiano.

Sotto il secondo profilo, viene invece dichiarato che l’elemento rilevante è prima di tutto “l’invasività in sé del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario”, e non la mera “possibilità per quest’ultimo di interrompere l’azione perturbatrice, già subita e avvertita come tale, ovvero di prevenirne la reiterazione, escludendo il contatto o l’utenza sgradita senza nocumento della propria libertà di comunicazione“.

Del resto, il reato di molestie non ha natura necessariamente abituale e non esige una reiterazione delle condotte. Di conseguenza, è sufficiente che vi sia anche una sola interferenza indesiderata che alteri fastidiosamente lo stato psicofisico o le abitudini quotidiane della vittima, non rilevando in alcun modo la presenza dell’opzione “blocca contatto”, la quale non avrebbe la funzione di impedire il reato, bensì di interromperne l’esecuzione che, di fatto, si è già perfezionata con un unico atto molesto.

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