Diffamazione e provocazione

Diffamazione provocazioneAi sensi dell’art. 599 c.p. (“Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dall’art. 595 nello stato d’ira deterninato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso”) la provocazione può rendere non punibile il reato di diffamazione.
Tale principio è stato applicato dalla VI sezione penale della S.C. di Cassazione con sentenza 17958/2020 del 11.6.2020 anche in una fattispecie in cui veniva intimato a un avvocato il pagamento in favore di una lavanderia, contestandogli altresì di aver in precedenza lanciato al volto della titolare della lavanderia, per tacitarne le pretese, una banconota da 500 euro all’interno di un locale pubblico.
Il diffidato rispondeva “su quanto riferitole, v’è ben poco da replicare se non che tali vaneggiamenti si attagliano appieno alla veste lavorativa della Sua assistita”.
I giudici di merito hanno riconosciuto la valenza diffamatoria di tale affermazione, ma hanno ritenuto che il fatto fosse stato commesso nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso (il fatto ingiusto era costituito dalla falsa affermazione del lancio delle banconota, posto che questa accusa veniva giudicata non veritiera, in quanto testimoni confermavano come fosse stata la titolare della lavanderia a lanciare la banconota e non viceversa).
Secondo la S.C. tale decisione è corretta poiché la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, ai fini della configurabilità dell’attenuante della provocazione, occorrono:
a) lo “stato d’ira”, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il “fatto ingiusto altrui”;
b) il “fatto ingiusto altrui”, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale;
c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra condotta» (cfr. da ultimo Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019, Leccisi, Rv. 275894).
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La Consulta sul carcere ai giornalisti

stampa carcere giornalistiL’art. 595 comma 3 cod. pen., in tema di diffamazione, prevede che “Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro cinquecentosedici”.
Dal canto suo l’art. 13 della Legge 47/1948 dispone a sua volta che, “nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a euro duecentocinquanta”.
I Tribunali di Salerno e Bari, con proprie ordinanze, hanno sollevato questione di costituzionalità su tale sistema sanzionatorio, nella parte in cui si prevede la pena detentiva a carico del giornalista responsabile del reato di diffamazione a mezzo stampa, censurando le norme per sospetta violazione degli articoli 3, 21, 25, 27, 117 Cost. in relazione all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Nella Camera di Consiglio del 9.6.2020 la Consulta, rinviando di un anno la decisione ha invocato un intervento normativo sul punto da parte del Legislatore, diramando il seguente comunicato “La Corte costituzionale ha esaminato oggi le questioni sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari sulla legittimità costituzionale della pena detentiva prevista in caso di diffamazione a mezzo stampa, con riferimento, in particolare, all’articolo 21 della Costituzione e all’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In attesa del deposito dell’ordinanza, previsto nelle prossime settimane, l’Ufficio stampa della Corte fa sapere quanto segue. La Corte ha rilevato che la soluzione delle questioni richiede una complessa operazione di bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione della persona, diritti entrambi di importanza centrale nell’ordinamento costituzionale. Una rimodulazione di questo bilanciamento, ormai urgente alla luce delle indicazioni della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, spetta in primo luogo al legislatore. Poiché sono attualmente pendenti in Parlamento vari progetti di legge in materia, la Corte, nel rispetto della leale collaborazione istituzionale, ha deciso di rinviare la trattazione delle questioni all’udienza pubblica del 22 giugno 2021, per consentire alle Camere di intervenire con una nuova disciplina della materia. In attesa della futura decisione della Corte, restano sospesi i procedimenti penali nell’ambito dei quali sono state sollevate le questioni di legittimità discusse oggi”.
Scarica qui il testo del comunicato della Corte.

Amministratore di condominio e diffamazione

condominio diffamazioneL’amministratore di condominio che inserisce all’ordine del giorno una informativa in ordine alla causa intentata verso gli ex avvocati del condominio, colpevoli di scorrettezze, non commette il reato di diffamazione.
Infatti, laddove non si apprezzi l’offensività della comunicazione effettuata dall’amministratore il quale ha non solo il diritto ma anche il dovere di informare i condomini in relazione allo stato dei contenziosi instaurati nel loro interesse e in danno dei precedenti avvocati, non sussiste nemmeno una fattispecie diffamatoria, con conseguente inutilità di evocare anche la scriminante dell’esercizio di un diritto ex art. 51 c.p.
Lo ha affermato la S.C. di Cassazione, Sezione V penale con sentenza 11916 del 10.4.2020 (ud. 15.11.2019). Scarica qui il testo integrale.

Diffamazione a mezzo stampa: il criterio del “lettore medio”

diffamazione stampaNell’ipotesi diffamazione a mezzo stampa contestata al direttore responsabile di una testata, l’assenza di offensività della pubblicazione agli occhi del “lettore medio”, esclude il reato di cui all’art. 595 c.p. e conseguentemente quello di cui all’art. 57 c.p.
Con “lettore medio” si deve intendere colui che “sulla base di tutti gli elementi contenuti nella pubblicazione in contestazione, senza effettivi sforzi o particolare arguzia”, sia “perfettamente in grado di avvedersi del fatto” che la persona inquadrata nella fotografia nulla abbia a che fare con la vicenda di cui all’articolo in contestazione. Come tale, non va confuso con il “lettore frettoloso”.
E’ quanto sancito dalla S.C. di Cassazione, sez. V Penale, con sentenza n. 10967/20 del 1.4.2020 (scarica qui la sentenza integrale).

Non costituisce reato l’offesa in una videochat

chat offese ingiuria o diffamazioneCon la sentenza della V sezione penale n. 10905 del 31.3.2020 la S.C. di Cassazione ha affermato che l’offesa rivolta tramite comunicazione telematica diretta alla persona offesa, alla presenza di altre persone nell’ambito di una chat, integra non già diffamazione, bensì ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, fattispecie non più prevista dalla legge come reato, a seguito della depenalizzazione intervenuta tramite il D.lgs. n. 7 del 15.1.2016.
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