Ritenute non versate, per il reato serve la certificazione

modello770Per il reato di omesso versamento della ritenute occorre dimostrare l’avvenuta certificazione, non essendo sufficiente solo il modello 770.

L’art. 10bis del d.lgs 74/2000, introdotto con la legge finanziaria 30.12.2004 n. 311 dal titolo «omesso versamento di ritenute certificate», sanzionava l’omesso versamento, unicamente ove riguardante «ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti», per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta.

Tale norma è stata modificata dal governo, sulla base di legge delega, con l’art. 7 del d. Igs. 24 settembre 2015 n. 158, venendo per effetto di tale riforma punito «chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta».

A parte l’innalzamento della soglia della rilevanza penale, l’elemento differenziale nelle due versioni della norma consisteva nel fatto che, mentre in quella ante 2015 si faceva riferimento alle sole «ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti» (quindi il CUD o CU), dal 2015 la norma opera anche, ed alternativamente, il riferimento alle «ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione» (cioè quella annuale del sostituto, e, quindi, il mod. 770).

La revisione della norma risultava ben evidenziata nella integrazione della rubrica dell’articolo (passata da «omesso versamento di ritenute certificate» a «omesso versamento di ritenute dovute o certificate») e nella apposizione, accanto al periodo «risultanti dalla certificazione rilasciata», del periodo «dovute sulla base della stessa dichiarazione».

L’oggetto materiale della condotta omissiva sanzionata, dapprima limitata alle sole ritenute che risultavano dalla certificazione, è stata quindi estesa alle ritenute emergenti dalla dichiarazione modello 770, per cui, alla luce di tale modifica, si è posto nella giurisprudenza di legittimità il quesito sulla sufficienza, per i soli fatti precedenti alla novella del 2015, della dichiarazione modello 770 del sostituto a dimostrare l’avvenuto rilascio ai sostituiti delle certificazioni, ciò a fronte della necessità di considerare tale rilascio, se non quale elemento costitutivo del reato, quanto meno di suo presupposto.

Nel 2018 le Sezioni Unite con sentenza 24782/2018 (scarica qui) hanno stabilito con riferimento alla normativa previgente alla modifica intervenuta nell’anno 2015, deve essere esclusa la idoneità del solo modello 770 (di dichiarazione delle erogazioni effettuate e delle ritenute operate), a provare l’elemento, da considerare presupposto del reato, del rilascio delle certificazioni, ciò in base al rilievo secondo cui le indicazioni contenute nel modello 770 non sono da sole idonee a provare il fatto del rilascio delle certificazioni, essendo un mero indizio che, non può superare il criterio dell’accertamento al di là di ogni ragionevole dubbio cristallizzato dall’art. 533 cod. proc. pen., gravando dunque sul pubblico ministero l’onere di ricercare, al fine del raggiungimento della prova richiesta ai fini della configurabilità della fattispecie, elementi ulteriori e diversi (orali, come ad esempio le dichiarazioni dei sostituiti, o documentali) rispetto alla sola dichiarazione modello 770.

La sentenza della Corte Costituzionale 175/2022 (scarica qui) ha poi dichiarato incostituzionale, sul presupposto dell’eccesso di delega, sia dell’art. 7, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 158 del 2015 (“Revisione del sistema sanzionatorio in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014 n. 23”), nella parte in cui ha inserito le parole “dovute sulla base della stessa dichiarazione o” nel testo dell’art. 10 bis del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, sia dello stesso art. 10 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, limitatamente alle parole “dovute sulla base della stessa dichiarazione o”.

In sostanza, secondo la Consulta, il legislatore delegato del 2015 ha introdotto illegittimamente nell’art. 10 bis una nuova fattispecie penale (omesso versamento di ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione del sostituto), affiancandola a quella già esistente (omesso versamento di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti), senza essere in ciò autorizzato a farlo dalla legge di delega, mentre sarebbe stato necessario un criterio preciso e definito per poter essere rispettoso anche del principio di stretta legalità in materia penale.

Di qui la declaratoria di incostituzionalità nei termini descritti, che ha sostanzialmente “sterilizzato” la modifica della norma incriminatrice introdotta con il d. Igs. n. 158 del 2015 che, oltre a innalzare la soglia di punibilità da euro 50.000 a euro 150.000, aveva previsto la possibilità di ricavare la prova dell’avvenuta consumazione del reato anche sulla base di quanto risultasse dalla mera dichiarazione del sostituto d’imposta (c.d. modello 770), per cui ora l’integrazione della fattispecie penale ex art. 10 bis richiede che il mancato versamento da parte del sostituto, per un importo superiore alla soglia di punibilità, riguardi le ritenute certificate, mentre il mancato versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma di cui non c’è prova del rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti, costituisce illecito amministrativo tributario.

Tornano quindi attuali, non più solo per i fatti pregressi al d. Igs. n. 158 del 2015, ma a questo punto anche per i fatti ad esso successivi, i criteri interpretativi elaborati dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 24782 del 2018, secondo cui, in tema di omesso versamento di ritenute certificate, ai fini della prova del rilascio al sostituito delle certificazioni attestanti le ritenute operate, non è sufficiente la sola acquisizione della dichiarazione modello 770, dovendosi cioè comprovare aliunde il rilascio delle predette certificazioni, nel solco delle indicazioni ermeneutiche fornite dalla pronuncia delle Sezioni Unite, oltre che dalla giurisprudenza ad essa successiva (cfr. Sez. 3, n. 13610 del 14/02/2019, Rv. 275901-02 e Sez. 3, n. 25987 del 13/07/2020, Rv. 279743).

È quanto stabilito dalla sentenza della S.C., sezione III penale, n. 43238/2022 (scarica qui il testo integrale e la nostra newsletter sul punto).

Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

sottrazione fraudolenta reati tributariL’Art. 11 del D.L. 74/2000 stabilisce che “E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

In relazione a detta disposizione, però, la recente sentenza 4425/2021 del 4.2.2021 della Sezione III penale della S.C. di Cassazione ha affermato che la natura fraudolenta delle operazioni compiute non può essere ritenuta implicita nella sola idoneità degli atti a mettere in discussione la possibilità di recupero del credito da parte dell’Erario.

L’attitudine fraudolenta degli atti di alienazione non può essere evinta solo dalla natura degli atti stessi (atti di vendita di beni immobili) rinunciando così ad indagare il profilo della fraudolenza (prova dell’eventuale compiacenza delle controparti negoziali, prezzo pagato, modalità di pagamento).

Con particolare riferimento all’alienazione di beni, la S.C. aveva già affermato che in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione (Sez. 3, n. 29636 del 02/03/2018, Auci, Rv. 273493 – 01).

La nozione di “atti fraudolenti” (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Rv. 252996), comprende tutti quei comportamenti che, quand’anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione, rilevando, tra i possibili indicatori della fraudolenza, la prova dell’eventuale compiacenza degli acquirenti, la congruità del prezzo pagato.

Sulla nozione di atto fraudolento erano peraltro già intervenute le S.U. n. 12213/2018 che avevano testualmente affermato che «Con riguardo alla nozione di “atto fraudolento” contenuta nella disposizione dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, laddove, con terminologia mutuata dall’ art. 388 cod. pen., si sanziona la condotta di chi, «al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto […] aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva», questa Corte ha osservato che deve essere considerato atto fraudolento «ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno» (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996), ovvero che è tale «ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione) ovvero qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione» (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 2017, Di Tullio, Rv. 268798)».

Scarica qui la sentenza integrale.

Delitti in tema di dichiarazioni tributarie punibili a titolo di tentativo

tentativo delitti tributariE’ stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo 75/2020 (“Attuazione della direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale”, la c.d. “direttiva PIF” – direttiva per la protezione interessi finanziari).
Tra le novità introdotte:
a) l’inasprimento delle pene per i reati di peculato, indebita percezione di erogazioni a danno dello stato, induzione indebita a dare o promette utilità, quando dalla commissione degli stessi derivi una lesione degli interessi finanziari dell’Unione europea, nonché estende l’area di punibilità di taluni reati (peculato, concussione, corruzione, induzione indebita a dare o promette utilità, truffa) in relazione ai medesimi interessi finanziari;
b) introduzione della punibilità a titolo di tentativo per i delitti in tema di dichiarazioni tributarie di cui agli artt. 2, 3 e 4 al d.lgs 74/2000 (precedentemente esclusa dall’art. 6) nell’ipotesi di atti compiuti anche nel territorio di un altro Stato membro all’interno dell’Unione Europea e finalizzati all’evasione dell’IVA per un valore non inferiore ai dieci milioni di euro;
c) ripristino delle sanzioni penali per il reato di contrabbando (in precedenza depenalizzato) quando gli importi evasi sono superiori a diecimila euro;
d) estensione dei reati presupposto di cui al d.lgs. n. 231/2001, con l’aggiunta del delitto di frode nelle pubbliche forniture, di frode in agricolture e di contrabbando, alcuni delitti contro la pubblica amministrazione (peculato e abuso d’ufficio ex artt. 314, 316, 323 c.p.) nei casi in cui da essi derivi un danno agli interessi finanziari dell’Unione europea, nonché alcuni reati tributari non compresi nella recente riforma di cui alla legge 157/2019 (delitti di dichiarazione infedele, di omessa dichiarazione e di indebita compensazione, quando rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva).
Scarica qui il d.lgs 75/2020 e la relativa relazione illustrativa.