Il terzo trasportato ha sempre diritto al risarcimento causato dalla circolazione non illegale del mezzo.
Lo ha dichiarato la S.C. di Cassazione con ordinanza n. 13738/2020 del 3.7.2020.
Infatti, l’obiettivo della normativa comunitaria “consiste nel garantire che l’assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli debba consentire a tutti i passeggeri vittime di un incidente causato da un veicolo di essere risarciti dei danni subiti”, di talché le norme interne dei singoli Stati “non possono privare le dette disposizioni del loro effetto utile”, ciò che si verificherebbe se una normativa nazionale “negasse al passeggero il diritto al risarcimento da parte dell’assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli, ovvero limitasse tale diritto in misura sproporzionata, esclusivamente sulla base della corresponsabilità del passeggero stesso nella realizzazione del danno”, essendo, in particolare, “irrilevante il fatto che il passeggero interessato sia il proprietario dei veicolo il conducente del quale abbia causato l’incidente”, atteso che la finalità di tutela delle vittime impone “che la posizione giuridica del proprietario del veicolo che si trovava a bordo del medesimo al momento del sinistro, non come conducente, bensì come passeggero, sia assimilata a quella di qualsiasi altro passeggero vittima dell’incidente”.
Del resto, con la sentenza 1° dicembre 2011, C-442/10, Churchill Insurance Company, anche la Corte di Giustizia dell’Unione europea — nel pronunciarsi sulla questione pregiudiziale se osti al il diritto dell’Unione una normativa nazionale avente l’effetto di escludere in modo automatico dal beneficio dell’assicurazione la vittima di un incidente stradale la quale, avendo preso posto come passeggero nel veicolo per la cui guida era assicurata, avesse dato il permesso di guidarlo ad un conducente non assicurato — ha evidenziato che l’unica distinzione ammessa dalla normativa dell’Unione in materia di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per gli autoveicoli è quella tra conducente e passeggero, nel senso che, escluso il conducente, tutti gli altri passeggeri, anche quando siano proprietari del veicolo, devono avere una copertura assicurativa, sicché “la persona che era assicurata per la guida del veicolo, ma che era anche passeggero di tale veicolo al momento dell’incidente, si trova in una situazione giuridica assimilabile a quella di qualsivoglia altro passeggero e va dunque posta sullo stesso piano dei terzi vittime dell’incidente”.
Pertanto, ai fini dell’applicazione del principio “vulneratus ante omnia reficiendus“, occorre che “la posizione giuridica del proprietario del veicolo che si trovava a bordo del medesimo al momento del sinistro, non come conducente, bensì come passeggero, sia assimilata a quella di qualsiasi altro passeggero vittima dell’incidente”, ed inoltre che il diritto dell’Unione osta alla possibilità che l’assicuratore della responsabilità civile per la guida di autoveicoli si avvalga di “disposizioni legali o di clausole contrattuali allo scopo di negare a detti terzi il risarcimento del danno conseguente ad un sinistro causato dal veicolo assicurato”, ivi comprese quelle “che escludono la copertura assicurativa a causa dell’utilizzo o della guida del veicolo assicurato da parte di persone non autorizzate a guidano o non titolari di una patente di guida”.
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Autore: Studio Legale
Il pane precotto deve essere confezionato?
La S.C. di Cassazione con sentenza 14712/2020 depositata il 10.7.2020 ha avuto modo di affermare che l’imposizione dell’onere del preconfezionamento soltanto a carico del rivenditore di pane ottenuto mediante completamento della cottura di prodotto parzialmente cotto in precedenza e surgelato, e non anche al rivenditore di pane fresco, non costituisce un trattamento irragionevolmente differenziato di situazioni analoghe e non si risolve in una ingiusta discriminazione, e limitazione nell’accesso al mercato, per il primo operatore rispetto al secondo.
La sentenza della Corte di appello di Trieste aveva ritenuto non equivalenti le diverse situazioni del rivenditore del pane fresco e del prodotto ottenuto mediante il completamento della cottura di pane precotto e surgelato, affermando che “… non si rinviene nelle norme contestate alcuna violazione della libertà di iniziativa economica provata, trattandosi di questioni relative alle modalità di vendita di prodotti disomogenei che non determinano limitazioni all’importazione e/o alla messa in commercio degli stessi né restrizioni alla libertà d’impresa, dovendosi peraltro la stessa contemperare con i generali diritti del consumatore, tali da porsi quale possibile limite di utilità sociale. Sicché, proprio in virtù della diversità di panificazioni e della necessità di consentire al consumatore di conoscere le caratteristiche di ogni tipo al fine di effettuare con libertà una scelta oculata tra diversi tipi di pane, la normativa contestata appare logica e coerente con i principi costituzionali” e che “… il legislatore italiano, al duplice fine di eliminare elementi di concorrenza in danno della panificazione tradizionale … e, soprattutto, per consentire al consumatore di accedere ad informazioni corrette sulla qualità del pane da acquistare, anche in ossequio a quanto disposto dall’art.50 della L. n.146/1992, ha posto l’accento sulla differenza tra “pane fresco”, inteso come pane prodotto secondo un processo di produzione unico e continuo nell’arco della giornata, e “pane conservato”, il cui processo di produzione è connotato da interruzioni finalizzate al congelamento e il cui completamento di cottura è posticipato (v. l’art.4 della L. n.248/2006)”.
I ricorrenti avevano ricorso in Cassazione assumendo che la mera diversità della tecnica di panificazione, rispettivamente del prodotto ottenuto dal completamento della cottura di pane precotto e surgelato, da una parte, e del pane fresco, dall’altra parte, non costituirebbe elemento sufficiente a giustificare il trattamento diversificato dei due prodotti finali, identica essendo l’esigenza di tutela del consumatore. Peraltro, la stessa decisione impugnata darebbe atto, ad avviso dei ricorrenti, che la vera ratio della differenza di trattamento tra i rivenditori di pane fresco e ottenuto dal completamento di prodotto precotto e surgelato risiederebbe nell’esigenza di eliminare elementi di concorrenza in danno della panificazione artigianale.
Infine, i ricorrenti allegano che i documenti prodotti sin dal primo grado del giudizio di merito evidenziavano che il rivenditore aveva provveduto a rispettare la normativa in tema di etichettatura e informazione del consumatore, apponendo tutte le informazioni relative alla tipologia del prodotto sia sugli scaffali destinati alla sua vendita che sulle etichette stampate dalla bilancia in uso alla clientela.
Secondo la Suprema Corte tale doglianza è infondata poiché la diversificazione del trattamento tra pane fresco e pane ottenuto da prodotto precotto e surgelato non si fonda soltanto su motivazioni economiche (e in particolare, sull’esigenza di eliminare elementi di concorrenza in danno della panificazione artigianale) ma sul collegamento tra la ratio di tale trattamento differenziato, le oggettive differenze del processo produttivo del pane, e l’esigenza del consumatore ad una informazione precisa e puntuale sul prodotto acquistato.
In altri termini una cosa è l’acquisto di pane ottenuto da un processo produttivo unitario completato in una sola giornata (il cosiddetto “pane fresco”), ed altro è l’acquisto di pane ottenuto da un processo produttivo che viene interrotto per consentire il surgelamento del prodotto in vista di un posticipato completamento della sua cottura (il cosiddetto “pane conservato”).
Il consumatore ha il diritto di ottenere una informazione specifica e precisa circa i due differenti prodotti, onde non può affermarsi che il primo corrisponda al secondo, né che -per logica conseguenza- sussista una violazione dei principi di cui agli artt.3 e 41 Cost. in relazione al trattamento diversificato che la legge prevede, soprattutto in vista della tutela del consumatore, per il prodotto finale derivante dai due diversi processi produttivi.
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Creare un falso profilo facebook è reato?
Aprire un falso profilo su facebook o su altro social può costituire reato.
La S.C. di Cassazione, Sezione V penale, con la recente sentenza 22049 del 23.7.2020 ha sottolineato come il reato di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.) possa essere integrato da colui che crea ed utilizza un profilo su social network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto inconsapevole, trattandosi di condotta idonea alla rappresentazione di una identità digitale non corrispondente al soggetto che lo utilizza (Sez. 5, n. 33862 del 08/06/2018, R, non massimata sul punto).
Già in precedenza la Sez. 5, con sentenza n. 25774 del 23/04/2014, Sarlo, Rv. 259303, aveva stabilito che integra il delitto di sostituzione di persona la condotta di colui che crea ed utilizza un “profilo” su social network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto inconsapevole, associata ad un “nickname” di fantasia ed a caratteristiche personali negative, e la descrizione di un profilo poco lusinghiero sul “social network” evidenzia sia il fine di vantaggio, consistente nell’agevolazione delle comunicazioni e degli scambi di contenuti in rete, sia il fine di danno per il terzo, di cui è abusivamente utilizzata l’immagine.
E non muta, ai fini dell’integrazione del reato, che, attraverso la sostituzione di persona, sia stata divulgata una “immagine caricaturale” della persona offesa, circostanza che rileva ai fini della integrazione, altresì, del reato di diffamazione, essendo sufficiente, per la tipicità del delitto di cui all’art. 494 cod. pen., la illegittima sostituzione della propria all’altrui persona, mediante creazione ed utilizzo di un falso profilo facebook.
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Sottotetto condominiale o privato? I criteri
La natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune; il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall’umidità, tramite la creazione di una camera d’aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo (Sez. 2, n. 17249 del 12/08/2011, Rv. 619027); con l’ulteriore precisazione che per accertare la natura condominiale o pertinenziale del sottotetto di un edificio, in mancanza del titolo, deve farsi riferimento alle sue caratteristiche strutturali e funzionali, sicché, quando il sottotetto sia oggettivamente destinato (anche solo potenzialmente) all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, può applicarsi la presunzione di comunione ex art. 1117, comma 1, c.c.; viceversa, allorché il sottotetto assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere dal caldo, dal freddo e dall’umidità l’appartamento dell’ultimo piano, e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, va considerato pertinenza di tale appartamento (Sez. 2, n. 6143 del 30/03/2016, Rv. 639396);
E’ quanto ribadito dalla S.C. di Cassazione con ordinanza 9383 del 21/05/2020 (scarica qui il provvedimento integrale)
La Cassazione sulla sospensione della prescrizione nel periodo emergenziale
In data 17.7.2020 la Cassazione si è pronunciata in tema di legittimità della sospensione Covid-19 ex art. 83 del d.l. 18 marzo 2020.
In particolare con sentenza della sezione III penale, n. 21367/2020 ha affermato i seguenti principi di diritto:
• «è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della sospensione del corso della prescrizione, disposta dall’art. 83, comma 4, del d.l. 18 marzo 2020, in quanto la causa di sospensione è di applicazione generale, proporzionata e di durata temporanea, e la deroga al principio di irretroattività della legge penale sfavorevole, previsto dall’art. 25, comma 2, Cost. risulta giustificata dall’esigenza di tutelare il bene primario della salute, conseguente ad un fenomeno pandemico eccezionale e temporaneo, dovendosi realizzare un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali, nessuno dei quali è assoluto e inderogabile»;
• «la sospensione della prescrizione prevista dall’art. 83, comma 4, del d.l. 18 marzo 2020 opera dalla data dell’udienza (ricadente nel periodo 9 marzo-11 maggio 2020) di cui è stato disposto il rinvio e fino all’11 maggio 2020, mentre, per i procedimenti la cui udienza era fissata nel periodo 12 maggio-30 giugno 2020 e rinviati a data successiva, la prescrizione rimane sospesa, ai sensi 83, comma 9, del d.l. 18 marzo 2020, dalla data dell’udienza fino al 30 giugno 2020».
Come noto, sul medesimo punto, diversi Tribunali hanno sollevato questione di legittimità costituzionale per violazione del principio di irretroattività della legge penale, avendo le norme in tema di prescrizione natura sostanziale e non processuale.
Sul punto si pronuncerà la Corte Costituzionale.
Scarica qui il testo integrale della sentenza.