Il contratto di mutuo condizionato può essere titolo esecutivo?

mutuo condizionato titolo esecutivoCon sentenza n. 12007 del 3.05.2024, la Sezione III della Corte di Cassazione ha stabilito che non può considerarsi un valido titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., il contratto di mutuo con il quale si stabilisce che la somma finanziata venga trattenuta dalla banca in un deposito infruttifero sino al verificarsi di una determinata condizione.

Così decidendo, la Corte di legittimità, in accoglimento del secondo motivo di impugnazione, ha cassato la sentenza della Corte d’Appello di Milano che aveva riconosciuto la validità del mutuo a valere quale titolo esecutivo, sulla base del fatto che l’intera somma finanziata fosse stata, in realtà, contestualmente erogata dalla Banca alla parte mutuataria.

Secondo la Cassazione, tuttavia, la questione di diritto deve riguardare non tanto la sussistenza, la validità e il corretto perfezionamento del contratto di mutuo (ritenute, peraltro, pacifiche), quanto la sussistenza o meno di una obbligazione attuale di pagamento di una somma di danaro a carico della parte mutuataria e in favore della banca mutuante, così come richiesto dall’art. 474 c.p.c.

In ogni caso concreto deve, pertanto, essere verificato se l’eventuale obbligazione della parte mutuataria fosse o meno attuale al momento della sottoscrizione del contratto ovvero se la stessa sarebbe sorta solo al verificarsi di determinate condizioni, successive alla sottoscrizione.

Nel contratto di mutuo oggetto della decisione della Corte la somma finanziata veniva restituita alla banca e trasferita in un conto corrente deposito infruttifero.

Deve considerarsi, in primo luogo, che il deposito bancario ha natura di deposito irregolare e, ai sensi dell’art. 1834 c.c., fa acquistare la proprietà della somma al depositario, con l’obbligo, da parte di quest’ultimo, di restituirla al depositante nella stessa specie monetaria (cd. “svincolo”); “dunque, lo “svincolo” della somma concessa in mutuo ma immediatamente depositata presso la banca mutuante e, quindi, rientrata nel patrimonio della stessa, richiedeva un successivo atto volontario di quest’ultima, che determinasse il nuovo trasferimento della sua proprietà in favore della parte mutuataria, affinché sorgesse l’obbligazione di restituzione di essa a carico di quest’ultima”.

Ne consegue, dunque, che la somma depositata in un conto corrente infruttifero non si trova più nella disponibilità della mutuataria, ma esclusivamente nella disponibilità giuridica della banca.

Secondo la Corte di Cassazione, pertanto, la Corte d’Appello avrebbe dovuto verificare se, al momento dello svincolo della somma depositata, di questa poteva disporne unicamente la banca o se, invece, fosse stato redatto un ulteriore atto pubblico o una scrittura privata autenticata che attestasse l’effettivo svincolo della somma mutuata in favore della società mutuataria, dotato anch’esso della necessaria forma richiesta dall’art. 474 c.p.c.

La Corte, definitivamente pronunciando, ha, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: “nel caso in cui venga stipulato un complesso accordo negoziale in cui una banca concede una somma a mutuo e la eroghi effettivamente al mutuatario (anche mediante semplice accredito, senza consegna materiale del danaro), ma, al tempo stesso, si convenga altresì che tale somma sia immediatamente ed integralmente restituita dal mutuatario alla mutuante (e se ne dia atto nel contratto), con l’ intesa che essa sarà svincolata in favore del mutuatario stesso solo al verificarsi di determinate condizioni, benché debba riconoscersi come regolarmente perfezionato un contratto reale di mutuo, deve però escludersi, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., che dal complessivo accordo negoziale stipulato tra le parti risulti una obbligazione attuale, in capo al mutuatario, di restituzione della somma stessa (che è già rientrata nel patrimonio della mutuante), in quanto tale obbligazione sorge – per volontà delle parti stesse – solo nel momento in cui la somma in questione sia successivamente svincolata in suo favore ed entri nuovamente nel suo patrimonio; di conseguenza, deve altresì escludersi che un siffatto contratto costituisca, da solo, titolo esecutivo, essendo necessario un ulteriore atto, necessariamente consacrato nelle forme richieste dall’art. 474 c.p.c. (atto pubblico o scrittura privata autenticata) che attesti l’effettivo svincolo della somma già mutuata (e ritrasferita alla mutuante) in favore della parte mutuataria, solo in seguito a quest’ultimo risorgendo, in capo a questa, l’obbligazione di restituzione di quella somma”.

Ne consegue, dunque, che per valere quale titolo esecutivo, l’atto notarile nel quale si dispone che la somma finanziata rientri nella disponibilità giuridica della banca, deve essere integrato da una quietanza, avente le caratteristiche richieste dall’art. 474 c.p.c., che attesti l’avvenuto svincolo delle somme depositate sul conto infruttifero vincolato.

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Contributo a cura di Michela Presutti, Studio Arclex, avvocato in Milano.

Espropriazione di pubblica utilità e deprezzamento dell’area residua

Con sentenza 10747 depositata il 5.6.2020 la I Sezione Civile della S.C. di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: in tema di espropriazione per pubblica utilità, nel caso in cui, per effetto della realizzazione o dell’ampliamento di una strada pubblica (nella specie, di una autostrada), il privato debba subire nella sua proprietà la creazione o l’avanzamento della relativa fascia di rispetto, quest’ultima si traduce in un vincolo assoluto di inedificabilità che di per sé non è indennizzabile, ma che, in applicazione estensiva della disciplina in tema di espropriazione parziale, non esclude il diritto del proprietario di essere indennizzato per il deprezzamento dell’area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti, quando risultino alterate le possibilità di utilizzazione della stessa ed anche per la perdita della capacità edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici rimaste.
Ad imporre questa soluzione è la disciplina dell’espropriazione parziale che postula che l’indennizzo riconosciuto al proprietario dall’art. 33 del d.P.R. n. 327 del 2001 non riguardi soltanto la porzione espropriata (quando questa vi sia), ma anche la compromissione o l’alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione del bene rimasta nella disponibilità del proprietario, in tutti i casi in cui il distacco di una parte del fondo e l’esecuzione dell’opera pubblica influiscano negativamente sulla parte residua (Cass. n. 20241 del 2017).
Nella specie, l’indennizzo eventualmente spettante al proprietario per la perdita di valore dell’area residua deve essere calcolato in relazione alla più limitata capacità edificatoria consentita sulla più ridotta superficie rimasta a seguito della creazione o dell’avanzamento della fascia di rispetto (in tal senso è anche Cass. n. 7195 del 2013), ma senza automatismi come quello del trasferimento di cubatura da un’area all’altra.
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