Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

sottrazione fraudolenta reati tributariL’Art. 11 del D.L. 74/2000 stabilisce che “E’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

In relazione a detta disposizione, però, la recente sentenza 4425/2021 del 4.2.2021 della Sezione III penale della S.C. di Cassazione ha affermato che la natura fraudolenta delle operazioni compiute non può essere ritenuta implicita nella sola idoneità degli atti a mettere in discussione la possibilità di recupero del credito da parte dell’Erario.

L’attitudine fraudolenta degli atti di alienazione non può essere evinta solo dalla natura degli atti stessi (atti di vendita di beni immobili) rinunciando così ad indagare il profilo della fraudolenza (prova dell’eventuale compiacenza delle controparti negoziali, prezzo pagato, modalità di pagamento).

Con particolare riferimento all’alienazione di beni, la S.C. aveva già affermato che in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione (Sez. 3, n. 29636 del 02/03/2018, Auci, Rv. 273493 – 01).

La nozione di “atti fraudolenti” (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Rv. 252996), comprende tutti quei comportamenti che, quand’anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione, rilevando, tra i possibili indicatori della fraudolenza, la prova dell’eventuale compiacenza degli acquirenti, la congruità del prezzo pagato.

Sulla nozione di atto fraudolento erano peraltro già intervenute le S.U. n. 12213/2018 che avevano testualmente affermato che «Con riguardo alla nozione di “atto fraudolento” contenuta nella disposizione dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, laddove, con terminologia mutuata dall’ art. 388 cod. pen., si sanziona la condotta di chi, «al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto […] aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva», questa Corte ha osservato che deve essere considerato atto fraudolento «ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno» (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996), ovvero che è tale «ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione) ovvero qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione» (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 2017, Di Tullio, Rv. 268798)».

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Maltrattamenti a scuola

maltrattamenti a scuola

Secondo la S.C. di Cassazione, sezione VI penale, sentenza n. 3459/2021 umiliare e offendere sistematicamente un alunno di fronte ai compagni con termini come “fetente” o “deficiente” integra non già abuso dei mezzi di correzione ma il reato di maltrattamenti, anche se vengono invocate asserite ragioni educative.

Tali termini infatti rendono evidente l’assenza di una finalità correttiva e conseguentemente rendono applicabile l’art. 572 c.p. e non già l’art. 571 c.p.

 

Ingiurie e stalking

Ingiurie e atti persecutoriLe ingiurie ripetute possono configurare il reato di atti persecutori (c.d. stalking).
Afferma infatti la S.C. di Cassazione, Sezione V penale, con sentenza 1172 del 13.1.2021 che “sebbene l’ingiuria costituisca tuttora una delle più frequenti forme di aggressione all’onore, sanzionato civilmente, tale illecito costituisce anche una forma – e tra le più frequenti – di molestia, soprattutto quando è posto in essere in luogo pubblico o alla presenza di altre persone, siccome idoneo a incidere dolorosamente e fastidiosamente sulla condizione psichica della vittima. Ne consegue che – ove le ingiurie costituiscano fatto isolato, che non si inserisce in un più ampio contesto di aggressione alla sfera psichica e morale della persona – l’autore delle stesse sarà sanzionabile civilmente, mentre, quando le ingiurie assumono consistenza, ripetitività e incidenza tali da determinare, in sinergia con le altre forme di illecito previste dall’art. 612/bis c.p., uno degli eventi previsti da detta norma, risponderà del reato di atti persecutori”.
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Bonifici a soggetti terzi e autoriciclaggio

Bonifici e autoriciclaggioIl bonifico di somme di denaro provenienti da attività delittuosa (ad es. reati tributari) su conti correnti di società estere è condotta idonea a integrare il reato di autoriciclaggio.

Secondo la S.C. di Cassazione sezione II penale, sentenza n. 37932/2020, il bonifico di danaro verso i conti correnti di una società realizza, di per sé, una operazione di rilevanza economica e finanziaria, indipendentemente dalla circostanza che la società sia o meno operativa nel ramo imprenditoriale costituente il suo oggetto sociale, accertamento che non si rivela necessario ai fini della integrazione del reato di autoriciclaggio.

Con riferimento a tale reato, il criterio da seguire ai fini dell’individuazione della condotta dissimulatoria è quello della idoneità “ex ante”, sulla base degli elementi di fatto sussistenti nel momento della sua realizzazione, ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene, senza che il successivo disvelamento dell’illecito per effetto degli accertamenti compiuti (nella specie, grazie alla tracciabilità delle operazioni poste in essere fra diverse società), determini automaticamente una condizione di inidoneità dell’azione per difetto di concreta capacità decettiva (Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Fabbri, Rv. 279407. Massime precedenti Conformi: N. 16908 del 2019 Rv. 276419).

In tema di autoriciclaggio, è configurabile una condotta dissimulatoria allorché, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso la sua intestazione ad un terzo, persona fisica ovvero società di persone o capitali, poiché, mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca ed individuazione del successivo trasferimento.

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Legittima la sospensione della prescrizione penale causa Covid-19

corte costituzionale 278 2020La Corte Costituzionale con sentenza n. 278/2020 depositata il 23.12.2020 ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Roma, Siena e Spoleto in merito alla sospensione della prescrizione introdotta dell’art. 83 comma 4 d.l. n. 18/2020, nella parte in cui prevede che lo stabilito periodo di sospensione della prescrizione debba applicarsi anche ai fatti di reato commessi anteriormente alla sua entrata in vigore.

Secondo la Consulta, la sospensione della prescrizione disposta dai decreti legge n. 18 e n. 23 del 2020, emanati per contrastare l’emergenza COVID-19, non è costituzionalmente illegittima in quanto è ancorata alla sospensione dei processi dal 9 marzo all’11 maggio 2020, prevista per fronteggiare l’emergenza sanitaria. La cosiddetta “sospensione COVID” rientra infatti nella causa generale di sospensione della prescrizione stabilita dall’articolo 159 del Codice penale – che prevede, appunto, che il corso della prescrizione rimanga sospeso ogniqualvolta la sospensione del procedimento o del processo penale sia imposta da una particolare disposizione di legge – e quindi non contrasta con il principio costituzionale di irretroattività della legge penale più sfavorevole.

È uno dei passaggi della sentenza n. 278 depositata oggi (redattore Giovanni Amoroso), con cui la Corte costituzionale – come già anticipato nel comunicato stampa del 18 novembre scorso – ha dichiarato in parte non fondate e in parte inammissibili le questioni sollevate dai Tribunali di Siena, di Spoleto e di Roma sull’applicabilità della sospensione della prescrizione anche ai processi per reati commessi prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, per il periodo 9 marzo -11 maggio 2020.

In particolare, il Giudice delle leggi ha dichiarato la non fondatezza delle questioni con riferimento al principio di legalità sancito dall’articolo 25 della Costituzione, mentre è stata dichiarata l’inammissibilità con riferimento ai parametri europei richiamati dall’articolo 117, primo comma, della Costituzione.

Il principio di legalità – ha precisato la Corte – richiede che l’autore del reato non solo debba essere posto in grado di conoscere in anticipo quale sia la condotta penalmente sanzionata e la pena irrogabile, ma, si legge in un passaggio della sentenza, “deve avere anche previa consapevolezza della disciplina concernente la dimensione temporale in cui sarà possibile l’accertamento del processo, con carattere di definitività, della sua responsabilità penale (ossia la durata del tempo di prescrizione) anche se ciò non comporta la precisa determinazione del dies ad quem in cui maturerà la prescrizione”.

In tema di sospensione della prescrizione, l’articolo 159 del Codice penale “ha una funzione di cerniera”, spiega la sentenza, perché contiene, da un lato, “una causa generale di sospensione” che scatta quando la sospensione del procedimento o del processo è imposta da una particolare disposizione di legge, e, dall’altro lato, un elenco di casi particolari.

Nelle vicende da cui sono nate le questioni portate all’esame della Corte, opera proprio tale causa generale di sospensione.

La temporanea stasi ex lege del procedimento o del processo determina, in via generale, una parentesi del decorso del tempo della prescrizione, le cui conseguenze investono tutte le parti: la pubblica accusa, la persona offesa costituita parte civile e l’imputato. Così come l’azione penale e la pretesa risarcitoria hanno un temporaneo arresto, per tutelare l’equilibrio dei valori in gioco è sospeso anche il termine per l’indagato o per l’imputato.

La Corte, nel ricondurre la nuova causa di sospensione del processo alla causa generale prevista dall’art. 159 del Codice penale – come tale applicabile anche a condotte pregresse – ha poi precisato che essa non può decorrere da una data anteriore alla legge che la prevede.

Nella sentenza si legge, infine, che la breve durata della sospensione dei processi, e quindi del decorso della prescrizione, è pienamente compatibile con il canone della ragionevole durata del processo. Inoltre, sul piano della ragionevolezza e della proporzionalità, la norma è giustificata dalla tutela del bene della salute collettiva per contenere il rischio di contagio da COVID-19 in un momento di eccezionale emergenza sanitaria.

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