Interessante pronuncia della S.C. di Cassazione, Seconda Sezione penale, che con sentenza 15958/2025 precisa gli elementi costituivi del reato di invasione di terreni o edifici ai sensi dell’art. 633 c.p..
Tale norma sancisce che “1. Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da euro 103 a euro 1.032”.
Nello specifico, la S.C. ha affermato che l’oggetto della tutela penale che è apprestata dal reato di invasione di terreni o edifici è costituito dall’interesse pubblico all’inviolabilità del patrimonio immobiliare, in relazione alla protezione del diritto – spettante ai privati, allo Stato o ad altri enti pubblici – di conservare i terreni o gli edifici legittimamente posseduti liberi da invasioni di persone non autorizzate. Da ciò discende che, nell’art. 633 cod. pen., il termine «invasione» non è assunto nel significato comune di tale parola, la quale richiama un’azione irruenta e impetuosa, ma nel significato di «introduzione arbitraria non momentanea nel terreno o nell’edificio altrui allo scopo di occuparlo o di trarne altrimenti profitto», con la conseguenza che i mezzi e il modo in cui avviene l’invasione sono indifferenti, né è necessario che ricorra il requisito della clandestinità (che costituisce uno dei requisiti dello spoglio civile, ex art. 1168 cod. civ), sicché l’invasione si può commettere anche palesemente e senza violenza, neppure sulle cose, o senza inganno. Unico requisito dell’occupazione è l’arbitrarietà, vale a dire che essa avvenga contra ius, nel senso che agisce «arbitrariamente» colui che non ha il diritto o un’altra legittima facoltà di entrare nell’altrui terreno o edificio allo scopo di occuparlo o di trarne altrimenti profitto. Da ciò la conclusione che «il reato di invasione deve, dunque, ritenersi configurabile ogniqualvolta si occupa un immobile sine titulo», e, in particolare, «come occupazione di un immobile sine titulo devono considerarsi le condotte di chi subentra nell’appartamento di proprietà di un ente pubblico, previa autorizzazione del precedente legittimo detentore ovvero di chi occupa l’immobile a titolo di mera cortesia o ancora, come nel caso oggetto di scrutinio, in virtù di un rapporto di parentela con l’originario e legittimo assegnatario».
È stato altresì precisato che il delitto di invasione di terreni o edifici, nel caso in cui l’occupazione abusiva si protragga nel tempo, ha natura permanente.
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Mese: Aprile 2025
Rassegna di Diritto Amministrativo
Sul Rito Accesso
Cons. Stato, Sez. V, 24 Marzo 2025 n. 02384/2025
L’art. 36, comma 1, prevede che “L’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all’aggiudicazione sono resi disponibili, attraverso la piattaforma di approvvigionamento digitale di cui all’articolo 25 utilizzata dalla stazione appaltante o dall’ente concedente, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi contestualmente alla comunicazione digitale dell’aggiudicazione ai sensi dell’articolo 90” (enfasi aggiunta).
L’obbligo di ostensione dell’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario deve essere dunque garantita a tutti i candidati o offerenti.
Si segnala che sono ancora numerose le SA che non ottemperano a tale disposto.
Con riguardo al regime processuale applicabile il rito super-accelerato di cui all’art. 36 comma 3 del medesimo D.lgs. 36/2023, secondo alcuni orientamenti recenti non trova applicazione quando la Stazione Appaltante nega (omette) l’accesso dell’intera offerta dell’aggiudicatario.
Il rito super accelerato trova invece applicazione quando:
a) La SA pubblica l’offerta dell’aggiudicatario;
b) Oscura alcuni parti dell’offerta dell’aggiudicatario
In tali casi quando si contestano le decisioni assunte dalla Stazione Appaltante in merito alle richieste di oscuramento parziale o totale di un documento da parte del concorrente i termini per la contestazione di dette decisioni sono sicuramente quelli stretti di cui all’art. 36 comma 3 del D.lgs. 36/2023.
Il rito di cui all’art. 36 comma 3 del D.lgs. 36/2023 di contro sembra non trovare applicazione nei casi di mancata ostensione dell’offerta dell’aggiudicataria nella sua totalità e dovendosi dunque applicare il regime ordinario di impugnazione nel termine di 30 giorni
Il Consiglio di Stato con la sentenza che si segnala dà atto dell’esistenza di quattro orientamenti, sul rito applicabile in caso di mancata decisione sulle richieste di oscuramento, e cioè:
“1) quello secondo cui il termine breve di dieci giorni di cui all’art. 36, comma 4, d.lgs. n. 36 del 2023 si applica sempre, con decorrenza dalla comunicazione dell’aggiudicazione, anche laddove l’ostensione sia assente o, comunque, parziale, pur senza dare atto delle decisioni assunte sulle eventuali richieste di oscuramento, ravvisandosi, pur in mancanza di una esplicita motivazione, una determinazione implicita sul punto;
2) quello secondo cui il termine di 10 giorni non può applicarsi nelle ipotesi non riconducibili alla previsione legale, in cui la stazione appaltante, in violazione dell’art. 36, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 36 del 2023, ometta, integralmente o parzialmente, di mettere a disposizione dei primi cinque concorrenti classificati le offerte degli altri, senza neppure dare atto delle decisioni assunte sulle eventuali richieste di oscuramento (ipotesi che restano soggette integralmente alla disciplina di cui all’art. 116 c.p.a.);
3) quello secondo cui il rito super-accelerato si applica a tutte le decisioni di oscuramento collegate alle gare, anche se intervenute successivamente alla comunicazione di aggiudicazione, all’esito di un’istanza di accesso, salva la decorrenza del termine, in questo ultimo caso, dal provvedimento di oscuramento;
4) quello secondo cui il rito super-accelerato si applica solo laddove si contesti l’oscuramento, ma non anche laddove si faccia valere il proprio diritto di difesa.”
La sentenza conferma che il rito super-accelerato di cui agli artt. 36, commi 4 e ss., d.lgs. n. 36 del 2023 si applica all’impugnazione di tutte le decisioni assunte dalla stazione appaltante sulle richieste di oscuramento delle offerte che, in base ai commi precedenti del medesimo articolo, dovrebbero essere oggetto di ostensione, ma il termine di dieci giorni per la notifica del ricorso decorre dal momento della loro comunicazione, che può avvenire contestualmente all’aggiudicazione, come nel modello prefigurato dal legislatore, o successivamente.
Laddove non vi è stata alcuna comunicazione, da parte della stazione appaltante, della decisione assunta sulla richiesta di oscuramento dell’offerta tecnica dell’aggiudicataria è inapplicabile il rito super accelerato (tesi 2), e dunque non decorre il termine dei dieci giorni.
Il termine decorrerà dunque solo dalla comunicazione della decisione sulla richiesta di oscuramento, la quale, (come invece sostenuto dalla tesi 1), “non si può desumere implicitamente dalla mera comunicazione dell’aggiudicazione, da cui non trapeli né la richiesta di oscuramento né alcun elemento in tal senso”.
Per il Collegio, infine, “una diversa interpretazione, oltre a collidere con il diritto di difesa, costituzionalmente garantito, finirebbe per contrastare con la ratio legis della nuova disciplina sull’accesso nelle gare pubbliche, che mira ad evitare ricorsi al buio, onerando i concorrenti di un’immediata reazione giudiziaria, di cui probabilmente non vi è neppure un’effettiva necessità, laddove, sia pure successivamente alla comunicazione dell’aggiudicazione, a fronte di una mera richiesta, l’Amministrazione provveda all’ostensione della documentazione di gara richiesta.”
Sulle pronunce dell’ultimo mese
Tar Lombardia, Milano, Sez. I, 11 Aprile 2025, n. 1316
In merito al contraddittorio procedimentale l’art. 96 comma 6 del D. Lgs, n. 36/2023 equipara la causa di esclusione dell’unicità del centro decisionale di due o più offerte alle altre cause di esclusione non automatiche, sebbene le condotte di self cleaning previste dal comma in questione non siano specificatamente tarate con riferimento alla suddetta causa di esclusione dell’unicità del centro decisionale.
Quindi, anche per la causa di esclusione dell’unicità del centro decisionale, la stazione appaltante ha l’obbligo di procedere in contraddittorio con l’operatore economico, salvo il caso in cui il procedimento svolto dall’amministrazione non avrebbe potuto condurre ad un esito diverso dall’esclusione, ipotesi che ricorre nel caso in cui la stazione appaltante ha individuato degli elementi obiettivi tali da fondare, anche solo in via indiziaria ma pur sempre con connotato di univocità, la probabile sussistenza di un medesimo centro decisionale, pur a fronte di una formale pluralità di offerte.
Cons. Stato, Sez. III, 8 Aprile 2025, n. 2986
Il principio di consumazione dei mezzi di impugnazione, che trova il suo presupposto logico nel divieto di frazionamento delle impugnazioni, comporta che, una volta proposta l’impugnazione, non è possibile denunciare altri motivi di censura o riproporre le stesse censure, anche se il relativo termine non è ancora scaduto, attraverso un nuovo atto di impugnazione. Ciò significa che le censure proposte con motivi aggiunti, laddove fondino su documenti già conosciuti al momento della proposizione del ricorso introduttivo, devono essere dichiarate inammissibili (Cons. Stato, sez. IV, n. 4266 del 2022 e Cons. Stato, Ad. Plen., n. 6 del 2022).
Cons. Stato, Sez. IV, 25 Marzo 2025, n. 2490
L’art. 1341 cod. civ. – recante la primigenia disciplina civilistica dedicata ai contratti asimmetrici e che stabilisce che le condizioni generali di contratto unilateralmente predisposte da uno dei contraenti non sono efficaci se non conosciute o diligentemente conoscibili dall’altra parte (co. 1) e che tali condizioni, se integranti una delle clausole vessatorie ivi elencate (tra cui le decadenze convenzionali), richiedono una specifica approvazione, per iscritto, della parte che non le ha predisposte – non trova applicazione ai contratti ad evidenza pubblica di affidamento di lavori, servizi e forniture. E invero, come precisato dalla Suprema Corte di Cassazione «il richiamo alla disciplina fissata in un distinto documento – come il capitolato speciale predisposto con la funzione di regolamentare un singolo rapporto – effettuato dalle parti contraenti sul presupposto della piena conoscenza di tale documento ed al fine della integrazione del rapporto negoziale nella parte in cui difetti di una diversa regolamentazione assegna alle previsioni di quella disciplina, per il tramite di relatio perfecta, il valore di clausole concordate: il rinvio a tale atto formulato dai contraenti, equivalendo alla sua materiale trascrizione nel documento sottoscritto, comporta che detta sottoscrizione si estenda alle clausole in esso contenute, che al tempo stesso sono sottratte alla esigenza della approvazione specifica per iscritto di cui all’art. 1341 c.c., comma 2, non essendo tale capitolato diretto a disciplinare una serie indefinita di rapporti, ma solo quello da istituirsi con il vincitore della gara» (in termini, Cass. Civ., Sez. I, 2 febbraio 2007, n. 2256; in senso conforme v., altresì, Cass. Civ., Sez. I, 22 ottobre 2003, n. 15783; Id., 19 marzo 2004, n. 5549; Id., 6 settembre 2006, n. 19130; cfr., inoltre, Cons. Giust. Amm. Sicilia, Sez. Giurisdizionale, 3 giugno 2020, n. 393).
Cons. Stato, Sez. V, 19 Marzo 2025, nn. 2257 E 2258
È illegittima l’escussione automatica della cauzione provvisoria effettuata nei confronti del soggetto non aggiudicatario della gara. E invero, come chiarito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la portata eterointegrativa del principio di proporzionalità non legittima l’escussione automatica della garanzia nei confronti del concorrente escluso che non risulti aggiudicatario, essendo, a tal fine, necessaria l’instaurazione di un procedimento nell’ambito del quale l’amministrazione, nell’esercizio della propria discrezionalità, proceda alla valutazione del caso concreto in relazione alla posizione individuale, all’elemento soggettivo e alle regolarizzazioni eventualmente operate dall’offerente (sentenza Corte di giustizia del 26 settembre 2024 – cause riunite C-403/2023 e C-404/2023).
Tar Puglia, Bari, Sez. II, 15 Marzo 2025, n. 353
L’art. 108, comma 9, d. lgs 36/2023 chiarisce che: “Nell’offerta economica l’operatore indica, a pena di esclusione, i costi della manodopera e gli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro eccetto che nelle forniture senza posa in opera e nei servizi di natura intellettuale”.
L’art. 110, comma 1, d. lgs. 36/2023, a sua volta, dispone che: “Le stazioni appaltanti valutano la congruità, la serietà, la sostenibilità e la realizzabilità della migliore offerta, che in base a elementi specifici, inclusi i costi dichiarati ai sensi dell’articolo 108, comma 9, appaia anormalmente bassa. Il bando o l’avviso indicano gli elementi specifici ai fini della valutazione”.
Dal quadro legislativo appena illustrato, emerge che i costi della manodopera sono comunque assoggettabili a ribasso, purché l’operatore dimostri che la riduzione complessiva dei relativi importi derivi “da una più efficiente organizzazione aziendale” (cfr., sul punto, consolidata e condivisa giurisprudenza: Cons. Stato, sez. V, 19 novembre 2024, nn. 9254 e 9255; TAR Toscana, sez. IV, 19 gennaio 2024, n. 120; TAR Campania, sez. II, 13 giugno 2024, n. 3732, TAR Basilicata, 21 maggio 2024, n. 273).
Cons. Stato, Sez. V, 10 Marzo 2025, n. 1959
L’eventuale violazione delle norme in materia di subappalto non comporta l’esclusione del concorrente e incide soltanto sul divieto di ricorrere al subappalto stesso in fase di esecuzione della commessa, ove il concorrente sia comunque in possesso dei requisiti di qualificazione onde poter eseguire i lavori oggetto di appalto (cfr., ex multis: Cons. Stato, sez. V, 2 luglio 2020, n. 4252; sez. V, 18 gennaio 2019, n. 471; sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4299; sez. V, 30 giugno 2014, n. 3288; sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1224).
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Ristrutturazione o nuova costruzione?
Attività demoricostruttiva o nuova costruzione sotto mentite spoglie?
La corretta qualificazione dell’intervento non è solo una questione di “etichetta”.
Quando si progetta un intervento edilizio, definire correttamente che tipo di attività si intende realizzare – se ristrutturazione o nuova costruzione – non è solo una formalità. Si tratta di un passaggio fondamentale per il procedimento autorizzativo e da cui dipende il successo o meno del progetto.
In un recente caso esaminato (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 1 aprile 2025, n. 1133), il TAR Lombardia è intervenuto per fare chiarezza su questo tema, spesso al centro di controversie, precisando i criteri per distinguere queste due tipologie di intervento.
Il contenzioso è nato da una richiesta di permesso di costruire, respinta dal Comune perché l’intervento, presentato come “demolizione e ricostruzione”, era da considerarsi, invece, una “nuova costruzione”.
Il progetto prevedeva la totale demolizione dell’edificio esistente e la realizzazione di due nuovi fabbricati, posizionati su una diversa area rispetto alla posizione originaria e con un aumento significativo di superficie e volume.
Secondo il Giudice, un intervento di questo tipo non può essere considerato ristrutturazione, perché manca ogni forma di continuità con il vecchio edificio. Infatti, la normativa edilizia e la giurisprudenza richiedono che, per parlare di “demolizione e ricostruzione”, debba esservi la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell’immobile: sagoma, volume, superficie.
Se queste vengono alterate in modo sostanziale, si esce dal campo della ristrutturazione e si entra in quello della nuova costruzione con le relative implicazioni normative e urbanistiche.
Il Collegio ha quindi sottolineato che l’edificio preesistente non può diventare semplicemente un pretesto per costruire qualcosa di completamente nuovo. In tal caso, quindi, l’intervento sarà qualificabile a tutti gli effetti come nuova costruzione e come tale dovrà essere autorizzata.
Tuttavia, non spetta all’Amministrazione “correggere” l’errore del privato nella qualificazione dell’intervento.
È responsabilità del richiedente inquadrare correttamente, fin dalla richiesta di permesso di costruire (o dalla segnalazione di inizio attività), la natura dell’iniziativa edilizia che si intende eseguire.
Pertanto, la distinzione tra ristrutturazione e nuova costruzione non è certo una questione di “etichetta”. Si tratta di un’operazione preliminare sostanziale, un passaggio di primaria importanza da affrontare con attenzione sin dalle prime fasi della progettazione.
Consulta qui la sentenza TAR Lombardia 1133/2025 e il contributo integrale del nostro Giovanni Di Bartolo su LexItalia.
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Rimborso di cure all’estero: decide il giudice ordinario
Spetta al giudice del lavoro e non al giudice amministrativo la competenza a decidere in ordine a rimborsi per spese sostenute all’estero per cure in centri di altissima specializzazione.
Lo ha deciso la recente pronuncia della S.C. di Cassazione n. 4847/2025 in cui si legge “Va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario riaffermando le enunciazioni di Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2867 e Cass., Sez.Un., 6 settembre 2013, n. 20577, nel senso che in materia di rimborso delle spese sanitarie sostenute dai cittadini residenti in Italia presso centri di altissima specializzazione all’estero, per prestazioni che non siano ottenibili in Italia tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, sia nel caso in cui siano addotte situazioni di eccezionale gravità ed urgenza, prospettate come ostative alla possibilità di preventiva richiesta di autorizzazione, sia nel caso in cui l’autorizzazione sia stata chiesta e si assuma illegittimamente negata, giacché viene comunque in considerazione il fondamentale diritto alla salute, non suscettibile di affievolimento per effetto della discrezionalità meramente tecnica riconosciuta alla P.A. in ordine all’apprezzamento dei presupposti per l’erogazione delle prestazioni”.
E ancora: “Benché, nella specie, non sia stato chiesto il rimborso di spese affrontate per cure specialistiche praticate all’estero pur in mancanza di autorizzazione, sibbene l’annullamento dell’atto amministrativo di diniego di autorizzazione ad effettuarle, non di meno va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, essendo la domanda diretta a tutelare una posizione di diritto soggettivo – il diritto alla salute – senza che assuma rilievo, in contrario, il contenuto concreto del provvedimento richiesto, il quale implica soltanto un limite interno alle attribuzioni del giudice ordinario, giustificato dal divieto di annullamento, revoca e modifica dell’atto amministrativo ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 4, all. E (ex multis, Cass., Sez. Un., nn. 23284/2010, 4633/2007, 9005/1993)”.
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